“La guerra non è finita”. Una suggestiva “Napoli milionaria” al Verdi di Pisa

DSCN2306Solo l’incontro di due veri e propri fuoriclasse del Novecento, come Eduardo De Filippo e Nino Rota, poteva creare un “remake” lirico così affascinante come quello di “Napoli milionaria“. Un’opera che avrebbe tutte le carte in regola per diventare un “classico” e che, invece, pochi hanno avuto il privilegio di ascoltare e apprezzare.

La sua prima apparizione si colloca al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1977, con la direzione di Bruno Bartoletti. Già in quella premiere l’opera musicata da Rota destò una certa sorpresa. Rispetto al testo originario, sul dramma lirico si addensarono cupe nubi di pessimismo, dovuto ad un De Filippo sempre più orientato al disincanto. Le note di Rota accompagnano le paure e i sentimenti che si accalcano sul palcoscenico in modo magistrale, tendendo così vive le corde dell’emotività dell’ascoltatore.
Affidare le musiche a Nino Rota, che pure all’epoca non era quotatissimo, forse perché non era ritenuto abbastanza “sperimentatore”, fu comunque una scelta molto felice. Con la sua scrittura eclettica, onnivora, densissima di citazioni e rimandi, era la mano più indicata per non infarcire l’opera di azzardi atonali che avrebbero appesantito o, peggio, tradito l’opera di De Filippo. Inferenze di tradizione popolare mescolate a Ravel, Stravinskij, Gershwin, ma anche di swing e ragtime, servono ad accompagnare i vari registri dell’opera, dalla farsa sino alla tragedia finale.

Dopo il debutto del 1977 si contano altre due esibizioni a Taranto e Cagliari, entrambe nel 2010. Oggi c’è voluto tutto l’impegno del Laboratorio Toscano per la Lirica Opera Studio per riportare sulla scena quest’opera, un progetto che vede la collaborazione tra il Teatro del Giglio di Lucca, il Teatro Verdi di Pisa e il Carlo Goldoni di Livorno. A sostegno di questo dramma anche l’Orchestra della Toscana, con la direzione del giovane Matteo Beltrami (classe 1975).

Dopo una prima molto applaudita a Lucca, la sera di sabato 23 marzo “Napoli milionaria” è arrivata anche sul palco del Teatro Verdi di Pisa, all’interno degli abbonamento a “I Concerti della Normale”. Mentre fuori dal teatro la città era in fermento per i consueti festeggiamenti del capodanno pisano, dalla platea e dai palchetti del Verdi si è potuto assistere a uno degli spettacoli più emozionanti in cartellone quest’anno.

 

La storia è sempre quella dell’opera originaria scritta nel ’45. La borsa nera di Napoli durante la seconda guerra mondiale a fare da quadro storico, le peripezie per contrabbandare il caffè (a cui non si rinuncia neanche in piena guerra), la scenografia essenziale che racconta una vita quotidiana costruita sull’arte di arrangiarsi. E poi ancora le fughe d’amore clandestine di Amalia ed Errico Settebellezze a Villanova, l’agiatezza economica raggiunta dalla famiglia Iovine, l’amore impossibile tra Maria Rosaria e il soldato Johnny, la gioia della Liberazione e il cupo ritorno dalla guerra di Gennaro Iovine. Il finale però viene rivisto, e la celebre frase “A’ da passà a nuttata” lascia spazio a “La guerra non è finita e non è finito niente”. Una città che si nutre di una ricchezza effimera improvvisamente si ritrova in uno stato di discesa morale che precede la tragedia, che puntualmente arriva sul finale. Epilogo che odora di piombo e non più attesa speranzosa, segno dei tempi cambiati, quando il ’68 aveva lasciato macerie e promesse disattese, sino ad arrivare agli anni in cui parlavano le P38.

L’Orchestra della Toscana risulta davvero in grande spolvero, considerando il colore e le dinamiche che riesce ad imprimere all’opera, con le incursioni rapidissime tra tradizione napoletana e swing. La minore introspezione psicologica dei personaggi viene quindi controbilanciata dal grande ruolo di collante che svolge l’orchestra. La minore potenza di emissione vocale di alcuni (pochi per fortuna) interpreti si è dovuta infatti scontrare con un’orchestra che rischiava di oscurarli. La dolcezza delle partiture per archi di Rota in alcuni passaggi hanno avuto l’effetto di amplificare la carica di struggimento di alcune scene, come quelle in cui Settebellezze dichiara il proprio amore ad Amalia, oppure quella in cui Maria Rosaria è sedotta dal soldato Johnny. Non mancano persino le citazioni di Puccini, nel momento in cui Maria Rosaria è chiamata “little butterfly” dal soldato, in procinto di rientrare in America, alludendo chiaramente alla vicenda di Madame Butterfly.

Il regista Fabio Sparvoli ha ideato una messa in scena che predilige il movimento, la narrazione, accorciando così le distanze tra la lirica e il teatro di prosa. L’opera quindi si è fatta anche apprezzare da chi si avvicina per la prima volta alla lirica, rappresentando un buon compromesso tra i canoni del genere e le esigenze del pubblico contemporaneo. Ottime le prove vocali dei personaggi primari, soprattutto la forza interpretativa della soprano Marina Shevchenco (Amalia) e del tenore Dario Di Vietri (Errico Settebelezze). Discontinua invece la prova di Pellingra (Gennaro Iovine), con qualche difficoltà nel far emergere la voce. Molto interessante anche l’interpretazione di Manuela Ranno (Maria Rosaria), soprattutto nel secondo atto. Nel complesso l’intero spettacolo scorre molto bene, riesce ad emozionare, a lasciare un persistente retrogusto amaro con il crollo metaforico della carta da parati che lascia spazio alle nude e spoglie mura della casa Iovine del primo atto.

Considerando l’impegno profuso e anche l’investimento economico da parte dei tre teatri toscani, ci auguriamo che quest’opera abbia ancora numerose repliche, anche fuori dalla Toscana. Perché quanto messo in piedi da LTL Opera Studio è tanto un azzardo in tempi di magra, quanto una suggestiva occasione per riflettere sulla “guerra” che anche nel nostro tempo siamo chiamati a combattere.

Giuseppe F. Pagano
foto dell’autore.

 

 

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