Nelle ultime settimane giornali e tv hanno associato l’isola mediterranea di Cipro all’ennesimo disastro finanziario.
Ma che è successo nella terza isola del Mediterraneo, membro dell’UE dal 2004?
La Repubblica di Cipro si estende su tutto il territorio dell’isola e sulle acque circostanti, fatta esclusione per due piccole aree, Akrotiri e Dhekelia, che sono basi militari inglesi sotto la sovranità della Corona.
Oltre alle spiagge e ai panorami mozzafiato, c’è un’altra caratteristica che fa di quest’isola un paradiso, ovvero la sua poco trasparente legislazione finanziaria.
Il sistema bancario cipriota accoglie risparmi in una quantità pari a 6 volte il suo pil. Essi sono in parte costituiti dai risparmi dei cittadini di Cipro ma, dato il suo status di paradiso fiscale, l’isola è notoriamente meta prediletta di ingenti capitali offshore russi che, stando alle stime del Financial Times, ammontano a 20-25 miliardi di euro, circa un terzo del totale.
Ma facciamo un passo indietro per capire l’origine del problema.
La crisi economica di portata mondiale, iniziata negli USA nel 2007 e diffusasi con “effetto domino” in molti paesi europei, ha toccato anche l’isola, che ha visto la sua crescita rallentare e l’occupazione ridursi. Inoltre, l’economia cipriota era strettamente legata a quella greca. Il crack di quest’ultimo paese ha destabilizzato l’economia di Cipro peggiorando la situazione e portando il governo di Nicosia a chiedere un bailout da parte dell’Unione Europea nel 2011, mentre il rating del paese scendeva secondo tutte le principali agenzie.
Da gennaio 2012 Cipro ha iniziato a ricevere un prestito di 2.5 miliardi di euro dalla Russia (al tasso di interesse del 4.5%), concesso tenendo conto che le stime consideravano il paese in grado di ripagare dall’inizio del 2013. Ma già a metà del 2012, Moody e Fitch (due tra le più note agenzie di rating) declassano il credito fino a considerarlo “junk”, ovvero spazzatura. Cipro, sempre più in difficoltà, torna a chiedere prestiti, fino a che la UE e l’IMF, il 16 marzo 2013 non propongono l’accordo: verrà erogato un aiuto di 10 miliardi a patto che si esegua un prelievo forzoso sui conti correnti del 6.7% per i depositi fino a 100.000€ e del 9.9% su quelli più alti.
I cittadini, sentendosi ricattati dalle autorità europee, sono scesi in piazza per protestare, e il clima di tensione ha portato il governo cipriota ad attuare misure drastiche quali la chiusura forzata delle banche per evitare la fuga di capitali. Al contempo la Russia non ha tardato a mostrare ostilità verso la proposta che avrebbe messo a rischio a rischio i depositi dei suoi cittadini e aziende. Putin ha immediatamente bollato la misura come “sleale, non professionale e dannosa”, accusando l’Europa di non aver neanche consultato la Russia prima di formulare la proposta, nonostante quest’ultima fosse già entrata in campo per il salvataggio dell’isola.
Il 18 marzo il parlamento cipriota si è espresso rifiutando le condizioni europee. Una nuova proposta, meno aggressiva e che non richiede l’approvazione del parlamento, è stata ridefinita il 25 marzo: l’Europa concederà il bailout (rendendo Cipro il quinto paese a ricevere un bailout, dopo Grecia, Portogallo e Spagna) senza prelievi forzosi dai conti correnti, ma al prezzo della chiusura della più “malata” Laiki Bank. In particolare il nuovo accordo prevede:
– Le attività e depositi “buoni” verranno trasferiti alla “Bank of Cyprus”;
– I capitali “sporchi” pagheranno in gran parte il salvataggio con una tassazione per i depositi oltre i 100.000€ e tramite altre misure;
– Sarà introdotto un audit indipendente sulle banche dell’isola, affiancato da Moneyval, la divisione del Consiglio d’Europa che valuta i sistemi antiriciclaggio.
Questa vicenda ha creato disorientamento e panico nei mercati europei, con duri effetti sulle borse e sul livello degli spread. Da una parte l’Europa ha voluto dare un segnale forte: siamo disposti ad accollarci il salvataggio dei paesi membri in difficoltà pur di cancellare i paradisi fiscali dal nostro territorio. Dall’altro lato, il mondo guarda con incertezza al vecchio continente. Se Obama nel suo discorso alla nazione ha proposto l’ambiziosa creazione di un’unione commerciale transatlantica tra Europa e Stati Uniti, gli americani osservano quotidianamente l’Europa come una strana creatura, dove i singoli paesi sono molto autonomi (si pensi alle dimissioni di Terzi per la vicenda dei marò), e dove manca un’unione fiscale, anomalia che si manifesta con sintomi (potenzialmente esplosivi) come quello del caso Cipro.
Chiara Calastri
Redazione News