Bach, la morte di Dio e il teatro dell’anima

DSCN1870La magnifica e tremenda apertura di “Herr”, ripetuto tre volte, seguito da “unser Herrscher” (Signore, nostro Sovrano) dà l’incipit alla poderosa opera oratoriale di Bach, la Passione secondo Giovanni, che risuona nel denso silenzio del Teatro Verdi.

Siamo convinti che la scelta di portare quest’opera nel cartellone de “I concerti della Normale” da parte del direttore artistico De Incontrera, sovente vicino a repertori barocchi, abbia colpito nel segno, regalando al pubblico di Pisa un gioiello della musica sacra, peraltro eseguito dall’orchestra più quotata per esperienza e impegno filologico in queste pagine, cioè la Münchener Bach Chor & Orchester.

La Johannes-Passion è stata eseguita per la prima volta nel 1724, ben cinque anni prima di quella secondo Matteo, molto più lunga e dall’impianto più spiccatamente teatrale. La Passione secondo Giovanni si differenzia da quella di Matteo soprattutto per il contenuto più contemplativo e teologico, in assoluta conformità al dettato giovanneo. Ma non mancano squarci di drammaticità, tutta umana, all’interno del testo, con l’inserimento di alcuni passaggi contenuti nel Vangelo di Matteo, come il pianto di Pietro e il terremoto che segue alla morte del Cristo. Tra le altre interpolazioni ci sono anche alcuni passaggi scritti da Barthold Heinrich Brockes, per quanto rimaneggiati da Bach stesso.

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L’opera si divide in due parti asimmetriche: la prima è più corta (circa 40 minuti, contro l’ora e 20 circa della seconda). E questa suddivisione un tempo serviva per accogliere il sermone del pastore. La mano di Bach è riconoscibilissima sin dall’inizio. Infatti il tema viene iniziato dai bassi, seguiti – a canone – dalle altre voci. E la bellezza dell’apertura viene moltiplicata dal “da capo” che ripete la prima parte del coro. E sempre il coro è capace anche di interessanti soluzioni narrative, come per esempio le “turbae“, ovvero parti in cui le note non hanno molta importanza, e bisogna invece rendere la concitazione della folla, sottolineata dalle veloci semicrome dei flauti e dei violini primi.

La prima turba interviene proprio nel momento in cui arriva la folla e le guardie per mettere ai ferri Gesù. Il ruolo della voce narrante, il tenore Thomas Cooley, è dominante per tutta l’opera, ed è proprio il narratore-evangelista ad emergere sin dal primo recitativo.

DSCN2032Alla voce dell’evangelista si affiancano sempre strumenti gravi e l’organo, per sostenerla con un basso continuo. Particolarmente denso è il protagonismo narrativo del tenore, soprattutto nell’episodio del pianto di Pietro “und weinete bitterlich” (e pianse amaramente), dove abbiamo un vocalizzo pieno di alterazioni e di cromatismi che rendono appunto l’intonazione del pianto, e nel momento in cui Pilato ordina la flagellazione di Gesù “Da nahm Pilatus Jesum und geisselte ihn”, in cui il vocalizzo dell’evangelista sulla parola “geiselte” (flagellò) rende il movimento e il ritmo del tormento.

La voce di Gesù, affidata invece a un baritono, è sempre piuttosto misurata nell’esprimere l’accettazione del destino che per lui ha riservato il Padre, ma capace anche di drammatici interrogativi, come nell’episodio dell’incontro con Anna, il sacerdote del Tempio. O persino di sommessa rabbia, come nel momento in cui canta a Pilato «se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi avrebbero combattuto perché io non fossi consegnato ai Giudei».

DSCN1998Al coro spettano i passi di meditazione sul corso degli eventi che si stanno consumando, come nel corale n.3 dove si cantano questi versi: «O grosse Lieb’, o Lieb’ ohn’ alle Masse die ich gebracht auf diese Marterstrasse! Ich lebte mit der Welt in Lust und Freuden, und du musst leiden!» (O grande amore, o amore senza misura, che ti ha portato su questa via di martirio! Io vivevo nel mondo fra piacere e gioie, e tu devi soffrire!).

Altrettanto interessanti sono le arie di meditazione in cui gli strumenti dialogano in coppia, come nell’episodio in cui dialogano i due oboi che coinvolgono, a sua volta, la mezzosoprano Vermeulen, ovvero nell’aria n.7 “Von den Stricken meiner Sünden mich zu entbinden, wird mein Heil gebunden” (Per liberarmi dai lacci dei miei peccati, il mio Salvatore viene legato). Il risultato è di rendere intima la meditazione, e favorire così la preghiera.

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Forse l’apice del dialogo tra strumento e voce è in un’altra aria che coinvolge sempre la splendida mezzosoprano Vermeulen, ovvero “Es ist vollbracht!” (Tutto è compiuto!), in cui è la viola da gamba ad aprire e chiudere l’episodio, con momenti piuttosto variegati nelle dinamiche al proprio interno.

Quel coro che grida in modo terribile “Kreuzige, kreuzige!”, con la contrapposizione tra le note brevi di una parte del coro e quelle lunghe delle altre voci, è lo stesso che poi canta sommessamente “Ruht wohl ihr heiligen Gebeine” (Riposate pure, o sante ossa), con un tocco davvero commovente.

Nel complesso l’opera è magistralmente diretta da Hansjörg Albrecht, che rende assolutamente onore al nome della Münchener Bach Chor & Orchester, un’ensemble ormai specializzata in questo tipo di opere bachiane, fondata dal grande Karl Richter. Si ricorda infatti che tra le migliori incisioni esistenti della Passione di Giovanni c’è proprio l’interpretazione della Münchener Bach Chor & Orchester.

DSCN2084Assolutamente filologica è la resa di Albrecht, che alla conduzione affianca anche l’esecuzione al clavicembalo, posto al centro dell’orchestra. Molti gli elementi giovani presenti nell’orchestra: saltano all’occhio soprattutto l’organista e la fagottista, poco più che ventenni. Purtroppo alcuni strumenti sono completamente sovrastati dagli altri, come l’organo, il quale è udibile solo nei passaggi in cui duetta con qualche altro strumento e il resto dell’orchestra tace.

Anche per le orecchie più estranee al richiamo della fede cristiana, quest’opera di straordinaria grandezza e raffinatezza, in cui la coralità descrive, in tutta la sua portata espressiva e glorificante, il racconto della Passione di Cristo, diventa un momento di meditazione non solo sulla divinità che si sacrifica nel corpo di un uomo, ma una meditazione sulle vette e sulle miserie stesse dell’umanità, sulle colpe e sul riscatto, sull’accusa e sul perdono. Quella che racconta Bach non è solo la morte di Dio, ma è anche la travagliata vita dell’umanità e la complessa architettura dell’anima.

 

Giuseppe F. Pagano, Veronica Marrulli
foto di Giuseppe F. Pagano

Redazione musicale

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