Semplicemente, quest’album non s’aveva da fare.
Se hai la fortuna di essere un eroe della musica, considerato come l’ultimo dei davvero grandi, e se non pubblichi nulla di nuovo da un decennio, tanto che tutti ormai disperano di sentirti ancora, sarebbe bene che tu rimanessi là, a goderti la tua immortalità, come se la godono gli dei, e la soddisfazione che sola viene dalla consapevolezza di aver creato monumenti più duraturi del bronzo. Ma forse quello era Orazio.
Nel caso contrario, se mai avessi la malaugurata voglia di tornare sulle scene per immischiarti di nuovo nelle faccende di coloro che trascinano la propria vita sulla Terra, scendendo dalle altezze dell’Olimpo o percorrendo da Marte distanze siderali, dovresti avere almeno la decenza di regalare agli uomini un album che ancora una volta stravolga il destino della musica. Semplicemente, non è il caso di The Next Day.
Allora che succede? Succede che il tuo ventiquattresimo album non ha alcun senso e che tu rimani senza nulla da dire, almeno senza nulla di interessante o che abbia ancora significato. E se ti chiami David Bowie è una tragedia. Ancora più catastrofica se sei stato anche Ziggy Sturdust, The Thin White Duke e The Man Who Fell to Earth, e invece di guardare avanti, verso la prossima trasformazione, verso la nuova impresa musicale da tentare, più ardita della precedente, come hai sempre fatto, cominci a voltarti indietro, a ciò che è stato e non a ciò che sarà.
Nel nuovo disco ci stipi dentro tanti numeri rock mediamente belli e qualche ballata qui e lì per allentare un poco la tensione; ci ammucchi parole di morte e assassinio, visioni distopiche e contorte, come facevi allora, ma che allora funzionavano come oggi non fanno più. Quel che è peggio è che, un tempo sempre in cerca del nuovo, ricicli spudoratamente il tuo passato, senza tralasciarne un solo momento, assemblando un pezzo di Scary Monsters lì e uno di Heathen là.
Nonostante questo, però, a causa dell’umana incoscienza del declino che prima o poi spetta anche a tutti i grandi imperi, perché così vanno le cose del mondo, farai la gioia di quella folta schiera di critici e appassionati, giovani quando tu eri giovane, per i quali allora la musica era buona come oggi fa schifo, morta dal tempo in cui hanno smesso di comprare i dischi coi soldi della paghetta. Sempre in attesa di una tua nuova epifania, incenseranno il tuo disco giubilanti.
Qualcuno avrà l’ardire di scrivere che il tuo ultimo album è «innovative, dark, bold and creative», ma probabilmente gli sarà partita la mano di default; qualcun altro loderà Where Are We Now?, la voce che ha rotto il silenzio, scoprendoci non so quali misteri, senza accorgersi che è solo una ballata brutta e noiosa, indegna della tua fama.
Quelle stesse persone, però, dopo aver compiuto il loro dovere, riporranno accuratamente nel cassetto The Next Day e lì lo dimenticheranno. Torneranno, invece, ad ascoltare come hanno sempre fatto Hunky Dory, Low e Scary Monsters.
Dopo tutto questo tempo, che senso aveva?
Luca Amicone
Redazione musicale