A Night in Tunisia. Potrebbe sembrare uno standard del jazz, e lo è. Ma sotto il nome di “Una notte in Tunisia” potrebbe diventare anche uno standard del teatro contemporaneo. Stiamo parlando della pièce scritta da Vitaliano Trevisan e portata in scena da Alessandro Haber, con la regia di Andrée Ruth Shammah, e prodotta dal Teatro Franco Parenti. Haber è Craxi, nei suoi ultimi giorni ad Hammamet.
Quest’opera è senz’altro lo spettacolo di punta di UNA STAGIONE PER LA TOSCANA, un cartellone costellato da grandi proposte artistiche che accoglierà gli spettatori per quattro mesi, dal 10 gennaio ad aprile 2013, negli spazi dei teatri di Pontedera, Buti e Lari. “Una notte in Tunisia” ha trovato la cornice del Teatro d’Era, che ha potuto offrire i suoi ampi spazi per la minimale quanto suggestiva scenografia adottata dall’opera di Trevisan.
“Una notte in Tunisia” non è un’opera di revisionismo storico, e neanche un’apologia sul personaggio politico, che tutt’oggi è ancora oggetto di polemiche e di fronti contrapposti. Piuttosto somiglia al ritratto di un Catilina, ormai vinto e costretto all’esilio. A differenza di Catilina niente battaglie finali in cui morire, ma una lenta consumazione ad opera della malattia. Un grumo di carisma ormai costretto all’immobilità, al decorso di un tumore che non coinvolge soltanto il protagonista, ma direi tutta la platea e l’Italia intera. L’incedere dei ragionamenti di Craxi è devastante, una tempesta che entra in scena sotto forma di una partitura più musicale che verbale.
La scrittura di Trevisan è shakespeariana nella misura in cui la solitudine di Craxi somiglia a quella di un Riccardo III. Craxi, assiso di fronte la sua scrivania, costretto a fare i conti con il suo passato; è un motore politico che gira a vuoto, proponendo quella forma di comunicazione che è congeniale agli statisti, ovvero il monologo, ma senza obiezioni di elettori e senza interazioni dialogiche. Un solo grande monologo con il contrappunto del maggiordomo Cecchin (Pietro Micci), il quale svolge anche la funzione di narratore, e dei due personaggi a cui è affidato l’incipit dell’opera, ovvero la moglie (Maria Ariis) e il fratello (Roberto Trifirò). Non esiste vero dialogo, e tutto ciò non fa che amplificare il vero punto focale dell’opera, ovvero una metafora del potere. Anche quando il protagonista è assente, esso sembra incombere come un fondale sempre presente nelle parole degli altri personaggi.
Il Craxi di Trevisan somiglia per alcuni versi a quanto aveva realizzato Sorrentino con “Il Divo”, pellicola del 2008. In quel caso era Andreotti a diventare metafora vivente di un Potere che, come il Mefistofele göethiano, spesso fa il Male per raggiungere il Bene. Il protagonista (Toni Servillo) giocava questo ruolo diventando icona di una ieraticità e di un immobilismo quasi sacerdotale, volendo così fondere nel suo personaggio le trame di palazzo e gli interessi della curia. Nel caso di Haber-Craxi, troviamo un potere messo all’angolo, logoro nella malattia e nella solitudine, che stavolta diventa metafora della condizione della politica e della democrazia più in generale. Ma c’è anche l’uomo che rilegge se stesso, in una sospensione tra narcisimo e impotenza.
Particolarmente illuminante è il discorso in cui il protagonista rivela che “l’intelligenza non è la regola, è l’eccezione”, facendone così derivare un’ombra lunga di discredito su ogni maggioranza, la quale per forza di cose sarà sorretta e rappresentata da stupidi. Il personaggio interpretato da Haber è lontano dal motore immobile dell’Andreotti di Sorrentino, anzi è un personaggio estremamente passionale, vitale, seppur sconfitto. Haber, che già aveva interpretato Bukowski, ha assoluta familiarità con questo spettro di caratteri così intensi. L’interpretazione è magistrale, emotiva e coinvolgente.
Vale la pena anche citare due opere “parallele” che accompagnano “Una notte in Tunisia”. La scenografia, creata con delle ampie garze impalpabili, serve da fondale per i cieli di Piero Guccione, creando così un’installazione artistica dentro la pièce stessa. La musica “non-musica” che avvolge l’intera opera è “Mise en abîme” di Yuval Avital. Si tratta di una composizione che mette insieme voci trasportate dal vento, risacca del mare, fisarmoniche e cori. Una musicalità ambientale e ricorsiva che serve a sostenere la parola, il vero elemento che tutto domina e dispone.
Lo spettacolo che abbiamo visto al Teatro d’Era è una di quelle opere magnifiche che si sottrae alle miserie della compravendita dei torti e delle ragioni, che si sottrae all’imitazione sic et simpliciter del personaggio storico, e viaggia oltre, sul filo dell’umanità che s’interroga su se stessa, sulla parabola del potere, sull’intelligenza lucida che mette sotto accusa il proprio Paese, affidandosi al giudizio della storia. I fogli con gli appunti di Craxi volano via. Di quanto ha scritto non rimane nulla, ma il vento degli interrogativi posti da Haber-Craxi arrivano sino alla platea. Qualche giorno dopo scoppia lo scandalo del Monte di Paschi di Siena, e le ultime parole pronunciate ad Hammamet sembrano così contemporanee nella notte della democrazia italiana.
Per i prossimi appuntamenti di “Una stagione per la Toscana” vi segnaliamo “Robe dell’altro mondo” della Carrozzeria Orfeo, un’opera di cui abbiamo scritto quest’estate, durante il Collinarea di Lari. Questa volta andrà in scena giovedì 7 febbraio, alle ore 21, al Teatro d’Era di Pontedera. Non perdetela!
Giuseppe F. Pagano
Redazione News
(foto dell’autore)