[RECENSIONE] Example – The Evolution of Man

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Con il suo quarto album, The Evolution of Man, uscito su etichetta Ministry of Sound, Example prova a bissare a distanza di un anno il successo di Playing in the Shadows, capace di raggiungere la prima posizione della classifica inglese, così come due suoi singoli. Per il momento, però, ha fallito: l’album, al debutto, è rimasto fuori dalla top ten.

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Percorrendo ulteriormente la già intrapresa strada oscura, quest’ultimo lavoro ha l’intenzione di mischiare alle sonorità dance elettroniche tipiche dell’artista suoni e atteggiamenti decisamente rock, con tanto di chitarre fiammanti – alcune suonate da Graham Coxon – e batterie indemoniate. Sulla carta un lavoro interessante, soprattutto dopo aver scorso la lista dei produttori, in cui figura gente del calibro di Skream, Benga, Friction o Zane Lowe, tutti curiosamente DJ di BBC Radio 1. Tuttavia, sono proprio le tracce di questi a non convincere. Quelle buone sono le altre, contenute nella prima metà, la più bella, in cui le suddette influenze, seppure presenti, sono più misurate. Nella seconda parte si serve invece un pasticcio fatto mischiando alla rinfusa rock, electro, dubstep, drum and bass e chi più ne ha, più ne metta.

A rimanere quasi sempre inalterato è il fascino della voce di Example, al secolo Elliot John Gleave, che, per il suo calore, il suo accento e per il gioco continuo con le sillabe, è sempre un piacere ascoltare. Passando dal canto al rap e viceversa, Example racconta del suo difficile passato, di cui ricorda gli abusi di alcol e droga e le difficile relazioni sentimentali.

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Non sorpende allora che non abbia prestato ascolto alla nonna che diceva che chi ben comincia è a metà dell’opera: la traccia di apertura, Come Taste the Rainbow, prodotta da Benga, è una delusione completa. Il brano, invecchiato dagli squallidi inserti metal, è del tutto ordinario se non per alcune piccole cose, come il breakdown orientaleggiante e l’all allungato nel ritornello.

Corregge fortunatamente il tiro la successiva Close Enemy che, nelle parole del diretto interessato, «sums up every kind of flavour», alternando nel ritornello, bello e decisamente efficace, ritmi dubstep ad altri più sostenuti. Perfect Replacement, invece, si arrampica in un climax continuo, alla cui fine Example, con baldanza e disprezzo, può dire alla donna del passato: «Who’s laughing now / I found your perfect replacement / Locked my past in the basement».

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Crying Out for Help, per l’arrangiamento rock e il basso tellurico che suscita un terremoto, come immagine del ritornello vuole («I’m a victim run off the Richter scale), è oscura e pesante. Queen of Your Dreams, sorprendentemente bella, data la produzione affidata ad Alesso, intenerisce. Come non sciogliersi agli irresistibili oh-oh, alla voce calda, tirata dolcemente verso i toni gravi all’inizio, al basso che giunge come una carezza e al ritornello venato di rimpianto («The one that got away / Guess she was the one that drifted away / The queen of your dreams / For the rest of your life»)?

Say Nothing, primo singolo, vuole essere una grande canzone da stadio e ci riesce, grazie ai riff di chitarra, il beat martellante, il ritornello che si impara in un attimo, i whooah-oh alla Coldplay. All My Lows si traveste da canzone dei New Order mettendosi addosso una malinconica linea di synth e delle struggenti chitarre, intanto che Example finisce con dolcezza la prima parte («All my lows / You could’ve avoid me / But I thank you for joining me»). La seconda non pare all’altezza.

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La title track scorre via, incolore e inosservata, come una dozzinale canzone pop-rock troppe volte ascoltata, anche se il ritornello non è proprio da buttare. One Way Warrior e Snakeskin hanno la stessa struttura, strofa rock-ritornello dance, dubstep nel primo caso (in cui neanche gli oh-oh finali  funzionano come al solito) e drum and bass nel secondo, per cui Example si cimenta in un canto alla Kurt Cobain col solo risultato di annoiare.

Blood from a Stone, prodotta da Zane Lowe, mette insieme di tutto, dalle chitarrone rock al beat electro, risultando di una confusione pazzesca. Alcune note di piano cadono come il proverbiale cavolo a merenda, la schitarrata finale dà il colpo di grazia. Are You Sitting Comfortably?, purtroppo prodotta da Skream, continua il tripudio dubstep-rock mediante una batteria che dà di matto. Per la conclusiva We’ll Be Coming Back vale quanto già detto nella recensione di Calvin Harris (qui), ma, nel disordine che la precede, viene come una boccata d’aria.

Luca Amicone

Redazione Musicale

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