Xabier Iriondo pubblica il suo primo disco solista, dal titolo Irrintzi. L’etichetta che da anni lo produce e lo appoggia è la Wallace Record, una delle poche etichette che propone questo genere di musica e che è presente in modo centrale sulla scena italiana.
Inutile fare le presentazioni per uno dei più importanti chitarristi presenti sulla scena indipendente (e non solo) italiana. Dopo una lunga carriera tra gli Afterhours ed il suo gruppo principale, i Six Minute War Madness, Iriondo si è dedicato all’esplorazione musicale con strumenti autocostruiti e composizioni aleatorie. Oggi è tornato tra gli Afterhours.
Il suo album solista è uscito e sicuramente non delude gli amanti del genere, non delude chi ascolta per la prima volta qualcosa che si discosta dal mainstream e non delude chi ha sempre seguito Xabier. I suoni sono a dir poco perfetti nella loro timbrica e nella loro ampiezza, gli arrangiamenti azzeccati. Nel complesso il disco è un vero e proprio “oggetto artistico”, come Iriondo stesso ce lo ha definito, non senza un certo manoavantismo.
Il disco è composto da 9 tracce, con alcuni brani originali e qualche cover. Iriondo ha collaborato in questa occasione con musicisti del tiro di Paolo Tofani, Gaizka Sarrasola, Manuel Agnelli, Giorgio Prette, Roberto Dell’Era, Bruno Dorella, Stefania Pedretti, Gianni Mimmo, Roberto Bertacchini e Cristiano Calcagnile. Una squadra di calcio da serie A, insomma.
In Irrintzi troviamo brani che ti rimangono impressi già dal primo ascolto (Il cielo sfondato e Gernika eta Bermeo), così come cover in cui Iriondo e compagni (che sono molti) dimostrano le proprie doti da arrangiatori (Reason To Believe di Bruce Springsteen, The Hammer dei Motorhead e Cold Turkey di John Lennon). Non mancano i brani ipnotici, omaggio alle tradizioni basche di Xabier (Elektraren Aurreskua ed Irrintzi).
Sorge però spontanea una serie di domande: perché Iriondo ha dato alla luce un album a suo nome, quindi “solista”, quando ha sempre dichiarato che non avrebbe mai fatto album da solo? In realtà in questo caso proprio solo non è. Irrintzi potrebbe quindi essere interpretato come una raccolta di ciò che lo rappresenta al meglio ed è a lui più caro, senza tuttavia generare un album solista: Iriondo non fa nulla di così diverso da quello che ha fatto dal 2001 ad oggi. Non è stato in grado di stupirci in modo devastante. Non fraintendetemi: ascoltare un disco in cui suona Iriondo (ad oggi dobbiamo dire anche di Iriondo) è un’operazione non certo da fruitori dell’ultima ora, ci vuole attenzione. Infine, sembra quasi che il nostro abbia usato lo stratagemma del riarrangiamento come alibi e prova della sua bravura, per evitare di mostrare a tutti il reale rischio di autoreferenzialità di se stesso come artista e della musica che propone.
In poche parole, il disco è fatto di ottimo alt-rock ma non è dei migliori di Iriondo.
Andrea Spinelli
Redazione musicale