È di poco più di dieci giorni fa la notizia che i componenti della commissione Grandi Rischi in carica nel 2009 (Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Bernardo De Bernardinis, Giulio Selvaggi, Claudio Eva e Gianmichele Calvi) sono stati giudicati colpevoli di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose e condannati a sei anni di reclusione. Nonostante la concessione delle attenuanti generiche, gli imputati sono stati anche obbligati dal tribunale dell’Aquila ad un risarcimento milionario e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La commissione, formata da scienziati di vari campi, si era riunita il 31 marzo 2009 all’Aquila per valutare, a seguito di una serie di terremoti, la pericolosità della situazione. Dopo un consulto, gli esperti avevano pubblicamente rassicurato la popolazione circa il rischio di un forte sisma, che invece si verificò sei giorni dopo (grado 6.3 scala Richter), portando alla perdita di più di 300 vite.
Sin da subito la sentenza ha diviso l’opinione pubblica, oltre che il mondo scientifico. Ritenuta un atto di giustizia dovuto da alcuni, ha invece scandalizzato molti ricercatori, in Italia e nel mondo. “È la morte del servizio prestato dai professori e dai professionisti allo Stato” è stato il commento del fisico L. Maiani, attuale presidente della commissione Grandi rischi, che ha aggiunto: “Non è possibile fornire allo Stato una consulenza in termini sereni e disinteressati sotto questa folle pressione”.
È davvero così? Per commentare la sentenza è necessario capire esattamente cosa è accaduto. Attorno alla vicenda infatti si è formata una coltre di pregiudizi e voci fantasiose, che minano la possibilità di giudicare serenamente.
Anzitutto, bisogna chiarire un punto, essenziale ma spesso travisato dai giornali: l’imputazione, per gli esperti, non era relativa al non aver saputo prevedere la scossa fatale del 6 aprile. Ciò di cui sono stati accusati gli scienziati era di aver indebitamente rassicurato gli abitanti, sulla base di una valutazione imprudente e approssimativa. Il loro giudizio li avrebbe indotti a rimanere in casa, esponendoli al fatale rischio. Un parere superficiale, che ha contribuito al verificarsi di un disastro.
Ma è davvero così semplice l’assegnazione delle responsabilità in questo caso? Secondo chi scrive, no.
Il ruolo della commissione Grandi Rischi, come recita il sito ufficiale della protezione civile, è di “fornire pareri di carattere tecnico-scientifico […] e dare indicazioni su come migliorare la capacita di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi”. Un ruolo quindi di studio teorico, e non esecutivo. Il compito di prendere decisioni, di comunicarle al pubblico e di assumersene la responsabilità spetta poi alla protezione civile e al governo. Non era nelle mansioni, né nelle competenze degli scienziati parlare di fronte alla stampa, o dare consigli alla popolazione. Essenzialmente le domande che sono state rivolte loro si possono riassumere in “ci sarà il terremoto domani?”. Ma la domanda, posta in tali termini, è insensata e non può che portare ad una risposta parziale. È impossibile prevedere esattamente i terremoti, e le valutazioni migliori forniscono il rischio solo in termini probabilistici. L’unica cosa che si può dire (dalla storia e dai rilievi) è che in una certa zona c’è una certa percentuale di rischio sismico; ma non è possibile fare previsioni sul verificarsi di una scossa tellurica nel prossimo futuro.
In molti hanno detto che le numerose scosse avrebbero dovuto allertare gli esperti, che al contrario le hanno ritenute un segno favorevole. Questo parere ha però una giustificazione: i terremoti avvengono spesso in serie ravvicinate nel tempo: quella di maggior entità è detta “mainshock”, mentre le scosse precedenti e successive (se presenti) sono i cosiddetti “foreshocks” e “aftershocks”. Tuttavia solo a posteriori si può identificare il mainshock. Fino al termine della sequenza, la scossa più forte verificatasi potrebbe essere la principale, oppure questa potrebbe dover ancora arrivare. Inoltre, l’analisi dei dati a livello globale mostra che solo nel 15% dei casi una serie di scosse prelude ad un sisma di entità molto maggiore. In quei giorni inoltre, la probabilità di un forte terremoto era stimata attorno a pochi punti percentuali.
Ponendo la questione in termini assoluti di “ci sarà-non ci sarà il terremoto”, qualunque risposta sarebbe stata criticabile. In questo senso si può dire che la rassicurazione era motivata dai dati a disposizione, ma che il problema sono state le domande poste. Invece che acquisire uno studio dettagliato e poi comunicare alla popolazione delle disposizioni di sicurezza, le autorità hanno preferito un colloquio pubblico, dove gli esperti si sono visti porre domande spontanee ma fuorvianti. In questo modo la responsabilità della gestione di un’emergenza nazionale è stata scaricata su un gruppo di persone non addette a tal compito.
Ma perché è stata fatta una scelta così inusuale, affidando loro questo incarico esecutivo? Per quale motivo non fargli studiare i dati geologici e poi far prendere una risoluzione a chi ne aveva il dovere? Un suggerimento in proposito potrebbe darcelo una preoccupante intercettazione dell’ex capo della protezione civile Bertolaso, che al telefono con l’ex assessore regionale Stati definì la convocazione degli esperti in loco una “manovra mediatica” volta a “tranquillizzare la gente”. Non solo: anche dopo il sisma, in una conversazione telefonica egli dice “La riunione di oggi è finalizzata a questo, quindi è vero che la verità non la si dice”. Uno scenario inquietante, tutt’ora al vaglio dei magistrati. In quest’ottica si potrebbe spiegare l’ anomalia. Una colpa che quindi lo stato e chi gestiva l’emergenza (la protezione civile in particolare) dovrebbero dividere con gli imputati, colpevoli però di essersi fatti manovrare a fini mediatici, e non certo di omicidio. Sull’effettiva consapevolezza degli scienziati circa un’eventuale strumentalizzazione non ci sono informazioni chiare anche se, al telefono con Bertolaso, Boschi dice “Non ti preoccupare, sai che il nostro è un atteggiamento estremamente collaborativo. Facciamo un comunicato stampa che prima sottoponiamo alla tua attenzione”.
A questo quadro piuttosto fumoso va aggiunto che, proprio in quei giorni, un sedicente esperto di nome Giampaolo Giuliani aveva amplificato il timore popolare, diffondendo la teoria secondo cui dalla misurazione dei livelli di Radon (un gas presente nel suolo) si poteva prevedere l’arrivo di un sisma. Giuliani (che non era un sismologo, ma un tecnico non laureato dell’INAF) è stato più volte pubblicamente sconfessato da esperti internazionali: il Radon viene studiato da decenni, ma ad oggi non esistono correlazioni significative tra le variazioni della sua concentrazione e l’insorgere di fenomeni sismici.
I suoi proclami avevano avuto tuttavia notevole eco sulla stampa, esacerbando la tensione di quei giorni, elemento che di certo contribuì alla decisione di rassicurare forzosamente la popolazione, nel tentativo da parte di dare un segnale forte e zittire i ciarlatani.
Di certo fu un grave errore: forse ci si lasciò prendere la mano per la confusione del momento, tra pressioni politiche e imbonitori in piazza. Ma altrettanto certamente parlare di omicidio colposo è una follia.
Quanto a Giuliani, la sua previsione alla fine si rivelò sbagliata sia per la data che per il luogo, aggiungendosi ad una lunga serie di grossolani errori e pubblicazioni alquanto poco scientifiche.
Chiudiamo questa disamina con una domanda polemica: abbiamo condannato i professori, colpevoli di aver parlato a sproposito… ma invece cosa ne è stato di chi ha costruito ed approvato edifici antisismici che sono crollati alla prima scossa? Cosa ne è stato dell’indagine sull’ospedale “antisismico” dell’Aquila, costato nove volte più del previsto e diventato inagibile? Una struttura che una commissione parlamentare già nel 2000 aveva segnalato per “irrazionalità e obsolescenza dell’impianto costruttivo”. È tollerabile che in un paese ad elevato rischio sismico si consenta la costruzione di stabili così inadeguati?
L’impossibilità di prevedere le scosse non ha impedito a quei paesi che hanno imboccato la via della prevenzione antisismica di rendere sicure le proprie città: negli ultimi dieci anni terremoti di simile (e molto maggiore) entità in Giappone non hanno quasi mai causato vittime. Questo perché seppur non si conosce quando sarà la scossa, si conoscono bene le aree dove di certo se ne verificherà una prima o poi. La soluzione al problema non è far uscire la gente di casa subito prima che crolli, ma costruire una casa che resti in piedi.
Ancora: è stato davvero saggio tenere un processo del genere all’Aquila, una città ancor oggi traumatizzata dal sisma? Come si può escludere che nel giudizio abbiano avuto un peso psicologico il desiderio di giustizia e la rabbia di una comunità furiosa, dove i responsabili degli illeciti sembrano essere introvabili? Pur se lungi dal voler cedere a facili teorie complottiste, viene spontaneo chiedersi se questi scienziati non siano davvero (o almeno in parte) un capro espiatorio.
Oltre all’oggettiva stranezza di questa sentenza, non va trascurata nemmeno la sua pesante eredità. Come ha dichiarato Maiani, crea un precedente che mette in una scomoda posizione ogni consulente scientifico pubblico: l’incertezza circa i propri obblighi e responsabilità espone a gravi rischi. E le dimissioni dell’attuale commissioni grandi rischi ne sono la prova. Scrive il Royal Geological Survey in un suo comunicato che questo verdetto facilmente provocherà una certa “ritrosia” tra gli studiosi, meno propensi ad esprimersi sinceramente, per timore di poter esser poi chiamati al banco di un tribunale per le proprie ipotesi.
Il “metodo scientifico” è una ricerca progressiva, in cui si avanza imparando dai propri errori e da quelli d’altri, ma se questi sono sanzionati, chi sarà più disposto ad esporsi per il progresso del sapere? Alla base di una indagine scientifica ci deve essere la consapevolezza che la nostra conoscenza è limitata, e si può accrescere solamente attraverso nuove esperienze. Una sentenza che vada a minare queste basi avrà quindi come unico risultato la penalizzazione di un intero settore di studi, tanto per il timore indotto nei ricercatori quanto per il discredito gettato su di essi agli occhi del pubblico. Ed in un paese che avrebbe tanto bisogno di migliorare la propria capacità di prevenire questi pericoli, di certo la caccia alle streghe non sarà d’aiuto a nessuno, a meno che non ci si contenti di trovare delle vittime cui addossare ogni colpa. Non sarebbe più utile capire come mai non si è fatto nulla per prevenire la catastrofe o come mai chi doveva gestire l’emergenza è stato negligente?
Alberto Ciarrocchi
per The Scientist