Skream ha superato la soglia dei centomila seguaci su Twitter. Notizia che non coglierebbe la nostra attenzione se il produttore e dj inglese, nato Oliver Dean Jones, pioniere del dubstep, non avesse reso disponibile una selezione di materiale inedito da scaricare liberamente.
L’album, intitolato a proposito 100k Freeizm, viene come sesto nella serie di raccolte gratuite elargite di tanto in tanto a partire dal 2010. Quest’ultimo regalo si suddivide in undici tracce, prodotte tra il 2006 e il 2010, proprio in mezzo ai due – e per ora unici – album veri e propri, Skream! (2006) e Outside the Box (2010).
Ci troviamo quindi in un tempo lontano, prima che il genere detto dubstep facesse il grande salto e superasse l’ostacolo. Quando non puntava ancora alle classifiche, quando gli americani non ne conoscevano il nome, quando non si stava lì ad aspettare il drop, perché non si sapeva neanche che cos’era. Così, tra dub minimale e spoglio di ogni orpello, ritmi sincopati lenti e più veloci, e bassi che baluginano di lontano, scorre questo flusso di tracce nel cuore delle tenebre, inabissandosi nelle fosse oscure di tarde notti, quando risuonano musiche indistinte e monche, e traspaiono ricordi confusi.
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All’essenziale è ridotta la traccia di apertura, Lemon Drive, di cui, scarnificata, si vedono solo le ossa: un beat 4/4, un leggero basso e poco più. Si va avanti così, fino a quando, alla fine, non entrano i synth. In Smokers il sample geme. Poi ne viene un altro, lontano e offuscato, subito interrotto, che si sfalda. Il beat 2-step nel suo ritmo sincopato si inarca lento, di tanto in tanto si velocizza, maggiormente nel finale. Tutto si perde tra lievi e svolazzanti synth. Gloitch è data dalla somma di percussioni secche e nitide dal ritmo compiutamente grime e di un vorticoso basso. A gettare l’imprevisto i glitch diffusi, a cui probabilmente il titolo allude, tanto che tutto loro è il breakdown.
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Una voce robotica annuncia 2LSD (2D Remix) che parte guizzando via da un’atmosfera sognante dei tempi passati. Più che un vero beat, si sentono pulsazioni e scoppi sotterranei di basso, che deflagrano su vivaci bleep e glitch, mentre si ripetono senza posa le solite tre note. Fuckin Nutter è ciò che il titolo suggerisce. Scariche di basso impazzite, che a tratti s’inceppano, al ritmo di pulsazioni saettanti e un urlo che cade sul beat. Poi tutto si affievolisce e finisce, mentre si entra nella quiete buia di Maybe It’s for the Best. In lontananza synth sfocati, dalle profondità affiora un basso scuro che si spande, il beat procede nella sua cadenza lineare. A metà cala il silenzio, sembra finita. Con attenzione si può udire qualche colpo di pulsazione e basso impercettibile. Si riprende, mentre un ticchettio batte leggero.
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L’atmosfera mesta prosegue con Passion, la traccia più vecchia, essendo del 2006, l’unica. Su uno sghembo beat sincopato si sparge qualche nota di piano, di lontano una musica perduta. I synth vengono a luccicare lontano e le lievi scosse di basso abbracciano ogni cosa. È tutto tanto malinconico e triste. Oiz è molto diversa. Il beat è pieno di influenze grime, molto sostenuto e incisivo. Di tanto in tanto i synth avvolgenti si rincorrono, inerpicandosi sempre più in alto. Poi le cose si complicano quando s’intreccia una manciata di note ripetute e il basso comincia a cigolare. Nel tripudio di synth finali finisce. Le ombre di Shadows sono rischiarate da un bagliore lontano. Nella notte oscura le note, poche, si ripetono ancora e ancora, una melodia dimenticata si ode sì e no.
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Su un battito regolare che cade lento, un basso informe e vibrante duetta con altre due note di basso definite, per infine prendere il sopravvento. È Wonky. Ti martella in capo, invece, Hazey Mind, su cui il glitch apre crepe. Il basso è un’onda che tutto confonde, tutto ricopre. Sotto brillano synth di sogni lontani. Melodie sommerse cercano la via di emergere. Immersi, ci lasciamo trasportare.
Luca Amicone
Redazione musicale