[RECENSIONE]: Mondo Marcio – Cose dell’altro mondo

Il rapper milanese Gian Marco Marcello, in arte Mondo Marcio, è giunto al quinto album, Cose dell’altro mondo, che, uscito agli inizi del mese, ha debuttato al secondo posto della classifica italiana. Per il rapper, la più alta posizione mai raggiunta. Un successo commerciale, dunque. Tuttavia, come spesso accade, la quantità delle copie smerciate non corrisponde alla qualità effettiva del lavoro. Questo Cose dell’altro mondo, infatti, nonostante il gran numero di tracce (diciassette) e di collaborazioni (undici), scorre liscio e non lascia nulla. Appena concluso è già dimenticato. Non ha appassionato, non ha interessato. Sarebbe stato meglio seguire il vecchio detto: pochi ma buoni.

Il problema principale sta proprio nella musica. Marcio, tutto sommato, le sue rime e i suoi versi buoni li mette, fatte salve alcune cadute francamente evitabili e ridicole. Sono le basi a non appassionare. La pecca principale è nel mancato aggiornamento alle nuove tendenze in fatto di musica, in generale, e di hip-hop, in particolare, che vengono dal resto del mondo. Ammetto, tuttavia, che questa è una critica che può rivolgersi a una non piccola parte della scena italiana, all’interno del problema più vasto del suo perenne provincialismo.

Fatta questa premessa, e tornando a Cose dell’altro mondo, si può dire che la grande maggioranze delle tracce si muove su schemi triti e ritriti; che si ripropongono per l’ennesima volta cose già sentite mille e mille volte; che gli inserti di chitarre o archi o piano, oltre ad essere totalmente piatti, sanno di stantio; e che non c’è un beat decente che sia uno, o quasi. Tant’è vero che bisogna aspettare addirittura la sesta traccia per trovarne almeno l’ombra.

Prima di arrivare a Come me, però, ci sono una manciata di canzoni piuttosto fiacche, sbiadite, forse per risultare gradevoli e digeribili agli occhi del grande pubblico italiano, che per il momento non è mancato. «Benvenuti nel mio mondo marcio» dice, ma magari marcia fosse la musica.

Senza cuore, traccia di apertura e primo singolo, si apre come un film cinese o di Leone e ha un ritornello che non stonerebbe sul palco del concertone il primo maggio («Non mi avrete mai vivo / Come un fuggitivo»). Dopo l’inutile Primo interludio – che ci deve stare per forza ché senza almeno qualche skit a sfregio non fa hip hop – in cui si sente il rapper fumare e tossire – tutto molto interessante! –, Chi temo di più, prima delle due collaborazioni con Danti dei Two Fingerz, essendo l’altra proprio Come me, riesce a strappare la sufficienza per il beat martellante nel ritornello e gli «oh oh» pesantemente modificati. Dopodiché viene l’odiosa Kilo, caratterizzata dagli inserti di chitarra orrendi e da un J-Ax insopportabile. Vorrebbe essere ammiccante, ma è solo fastidiosa. La title track, invece, viene irrimediabilmente invecchiata dallo scratch gentilmente offerto da Bassi Maestro, che pare uscito da una canzone degli Articolo 31 prima maniera (vedi sopra).

E poi, come detto, c’è Come me, forse la miglior canzone dell’album, sicuramente la più aggiornata. Parte con botte di beat e laser vari, ha un bel sample e un break ancora più bello risucchiato dal basso. Il rap di Danti è scattante ed è come se trascinasse dietro di sé pure quello di Marcio, che tiene il passo. Il momento clou arriva quando il primo si lancia a tutta birra come una Nicki Minaj nostrana, quando l’italiano scoppietta come l’inglese. Alla fine ci si scherza su. Dopodiché si ridiscende.

Conosci il tuo nemico si apre con un inserto di cinegiornale e continua con musichette elettroniche intrecciate al beat smezzato, che si fa più ritmato nel ritornello, su cui il basso lascia i graffi. A deprimere la canzone, tuttavia, ci pensano l’al solito insopportabile Caparezza con versi che parlano di politica e di crisi in maniera quanto mai populistica. Troppo lontano è una ballata rap, parlata più che cantata, con tanto di piano e chitarre da cui già sai cosa aspettarti dalla prima nota e che quindi eviti. In Quando tutto cade Killacat pare fare a botte con Autotune ed è tuttavia interessante nella noia che lo circonda.

Dopo il Secondo interludio, che è come il primo, Fight Rap inizia con la chitarra elettrica come una canzone rock e sa già di vecchio. Poi Bang! risolleva un poco le sorti del disco. È una canzone aggressiva dal beat possente, con tanto di spari e cariche di pistola, al cui inseguimento si lancia il rap. Una parte lenta e ipnotica spezza più volte il ritmo con grande sapienza, Vacca dà un tocco raggae/dancehall che non guasta. Poi purtroppo c’è Tra le stelle, che vanta la collaborazione di Emis Killa. Si riprende pari pari Amore disperato di Nada, ma di disperato c’è solo un taglia e cuci che s’interrompe all’improvviso senza molto senso, e con tanta confusione.


I miei motivi
e Se solo fossi qui hanno il volto pieno di rughe per colpa del sample che sa di muffa. Spalle al muro è tremenda. Inizia come una canzone di Ligabue e prosegue con un ritornello alla Gemelli Diversi, perché a cantare sono i Gemelli Diversi, o meglio solo Strano. Dopo una stesa del genere si può solo concludere. Ci pensa la piuttosto riuscita Finte verità, che finalmente odora del suo tempo. Ha un tocco elettronico e il basso giusto, ed è anche abbastanza divertente. Magari era questa la via da percorrere, chissà.

A conclusione, un appunto sul rap di Marcio. Per scelta consapevole (per le critiche? per avere maggior appiglio?), si è lasciato dietro la pronuncia strascicata degli esordi e non si mangia più le parole. Si capisce tutto quello che dice, è vero, ma ha perduto la sua caratteristica. Quando tocca a un altro rapper, questo, quasi sempre, lo lascia dietro.

Luca Amicone

Redazione musicale

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