I Concerti della Normale sono tra gli eventi più prestigiosi che ogni anno campeggiano nel calendario culturale della città. La nostra emittente, per quanto non abbia un programma radiofonico ad hoc sulla musica classica, è sempre stata incuriosita da questa manifestazione. Siamo così andati giovedì scorso al concerto inaugurale della 46° stagione, al Teatro Verdi. In cartellone c’era la rinomata Strauss Festival Orchestra, una numerosa ensemble, diretta dal maestro Peter Guth, che dagli anni settanta ad oggi ha fatto dell’approccio filologico ai valzer viennesi la propria bandiera.
Come giustamente ci si aspetta, il repertorio prendeva a piene mani dalle produzioni di Johann Strauss padre e figlio, ma anche Michael Pamer, Joseph Lanner, Joseph Strauss (fratello di Johann jr.). Nella prima parte del concerto, però, abbiamo assistito all’esecuzione di alcuni brani rappresentativi dei generi da ballo che anticiparono il valzer, come un trascinante minuetto di Joseph Haydn (Wiener Hofball-Menuette, HOB.IX:II) e poi la vivace contraddanza di un Beethoven trentenne (Konzertanze aus WoO 14), per giungere infine ai veri prodromi del valzer, come i “Deutsche Tanz” di Franz Schubert (Walzer und Deutsche Tanz, op.9 und op.33).
Tra i pezzi più apprezzati nel repertorio proposto al Teatro Verdi c’erano anche alcune polke di Strauss padre e figlio, che spaziano dai fondali di Vienna siano alle pianure magiare. E poi c’era la gioiosa Wien, Weib und Gesang!, che esalta i piaceri del vino e delle donne. All’epoca questo valzer ebbe un successo di critica notevole, lo testimonia la stampa. Il “Neues Wiener Tagblatt” nel 1869 infatti scriveva: “Il valzer farà la sua strada e diventerà popolare così come il valzer An der schonen blauen Donau. L’introduzione è un piccolo capolavoro musicale… Il fatto che il valzer sia stato ripetuto così tante volte ne è una prova”.
E ovviamente non poteva mancare, appunto, anche An der schonen blauen Donau (Sul bel Danubio Blu), la pagina più bella che sia stata scritta sul genere del valzer viennese. Sentirla da un’orchestra che si è specializzata sul repertorio regala un’esperienza di ascolto incredibile, chiudendo gli occhi ci si trova proiettati nel carnevale del 1867, occasione in cui venne eseguito per la prima volta in pubblico. L’Austria, in quel periodo, era ben poco Felix, venendo dalla sconfitta di Sadowa subita dai prussiani nell’estate del ’66.
A chiudere la serata, oltre all’immancabile “Valzer dell’Imperatore” (Kaiser Walzer, op.437), ci sono anche due episodi molto felici nella produzione di Joseph Strauss, come Aquarellen e Delirien. Insomma, non manca proprio nulla in questo rapido affresco di ciò che fu l’Impero asburgico, la sua corte, le sue feste, tra il 1815 e l’inizio della Belle Epoque. La direzione di Guth è delle più piacevoli, anche negli intermezzi: parla con il pubblico, scherza, manifesta anche una discreta conoscenza dell’italiano. Ha una direzione che sfocia spesso nella dimensione coreutica, ballando con ampi gesti di braccia e spalle, interpretando la musica oltre a dirigerla. È carismatico persino quando dirige con il violino in mano, un po’ alla maniera straussiana. Inoltre – prima volta che mi capita di osservare una scena simile – si complimenta con i suoi orchestrali, stringendo la mano (o baciando la mano) a ciascuno di loro. Il più delle volte questo rito si limita al saluto del primo violino, qui invece non si fanno questioni di gerarchia.
Qualitativamente la proposta è molto alta, perché i singoli esecutori, dai fiati sul fondo sino agli archi in primo piano, fanno ottimamente il proprio dovere, lavorando con le giuste dinamiche e l’espressività gioiosa che richiede il genere. Vale la pena ricordare che l’orchestra è formata in gran parte da elementi della Filarmonica di Vienna. L’introduzione con il tremolio di violini di An der schönen blauen Donau è perfetta, per citare soltanto un esempio.
Il Teatro Verdi è stracolmo, come nelle grandi occasioni. Parte del pubblico presente in sala, come in buona parte dei concerti di musica classica, è accorso all’evento più per il rito sociale in sé che per la conoscenza/passione per il genere, così intorno alla fine del concerto dalla mia postazione non è difficile osservare molti sessantenni (e non solo) che dormono beatamente. A questo punto è legittimo interrogarsi sullo spreco di posti al Teatro Verdi occupati dai “poser” occasionali, che magari a casa poi ascoltano Baglioni (quando va bene).
Anche un genere come il valzer, per quanto relegato ad un’epoca storica ben precisa, riprende vita con la partecipazione diretta del pubblico (gli accompagnamenti con applausi richiesti dal direttore Guth servono anche a questo): il valzer non è un genere da meditazione.
Per fortuna gli orchestrali, come il direttore, sono ironici e auto-ironici al punto giusto, così da manifestare oltre alla perizia tecnica e filologica, anche quell’umanità che ha reso immortali le note della “ditta” Strauss. Talvolta è parte del pubblico pisano a mostrarsi più infeltrito dell’aquila bicipite di Franz Joseph alla vigilia del 1914.
Ricordiamo come siano in programma altri due importanti appuntamenti con il valzer mitteleuropeo all’interno della stagione: il 29 gennaio 2013, con il pianista franco-americano Francois-Joel Thiollier che farà rivivere il valzer in voga a Parigi e a San Pietroburgo, e il 10 maggio 2013, con un quartetto vocale ed un duo pianistico che eseguirà “I Canti e il Valzer d’amore” di Johannes Brahms.
Giuseppe F. Pagano / foto dell’autore
Redazione Musicale