Non si esce vivi dagli anni 80: la leggenda dei Toto

Mi accingo a scrivere questo report con diversi giorni di ritardo dal giorno del concerto, il 29 Luglio 2012, lasso di tempo che è stato fondamentale per lasciar sedimentare le impressioni di un evento che sono riuscita a seguire non senza problemi tecnici, legati all’impossibilità di fare foto, alla mancata ricezione dell’accredito se non a 3 brani dall’inizio della serata, alla scomparsa di tutte le cartelline-stampa contenenti la scaletta dei brani suonati.

Stretta tra i due fuochi dello scopiazzare da altre webzine per recuperare le informazioni perdute e scrivere un articolo blando di dati oggettivi, ma ricco “de còre”, ho optato per la seconda opzione.

La serata conclusiva del Lucca Summer Festival 2012 non ha visto una larghissima partecipazione di pubblico, tanto che, seppur fossi riuscita a entrare al terzo pezzo, mi sono accomodata molo vicina al palco senza problemi; tantissime famiglie con bambini in passeggino al seguito che facevano ondeggiare la prole a ritmo di musica e numerose coppie di mezza età strette nel caloroso abbraccio dei bei tempi andati. Io sola, con la mia focaccina, una birra media e mille macchie di gelato sul vestito, per essere corsa a Lucca dopo 8 ore di lavoro.

Mentre aspetto l’arrivo dell’accredito stampa ho modo di sentire i primi discorsi della band, presentazione di ogni membro in grande stile alla fine del terzo brano, un sestetto di maestri della tecnica e del gusto musicale: Steve Lukather alle camicie in satin con stampa a cerchi e alle chitarre, almeno 6 Fender diverse gli passano tra le mani durante tutto lo show, David Paich alle tastiere, abbigliato di bermuda, sneackers gialle, giacca d’abito gessata e cilindro, ancora alle tastiere Steve Porcaro, al quale arriva un fragoroso applauso in quanto ultimo rappresentante di quel terzetto di incredibili fratelli del rock. Nathan East new entry azzeccatissima al basso, Simon Philips impeccabile alla batteria e il mattatore Joseph Williams alla voce solista.

Veramente incredibili i due coristi, una ragazza e un ragazzo, capaci di riempire ogni singolo brano del valore aggiunto delle loro voci potenti e aggraziate, due acquisti davvero importanti per conferire ai Toto quella polifonia vocale che da sempre li ha contraddistinti.

Sul palco i Toto hanno già eseguito alcuni brani per far scaldare gli spettatori, che attendono quna qualche hit per cominciare a agitarsi sul serio ed essa non esita ad arrivare: appena il tempo di finire frettolosamente la birra che attaccano con “Rosanna”. Il brano dura circa 9 minuti, un assolo di Lukather interminabile è parte il delirio.

Seguono altri 5 brani in un sapiente mix di ballate e pezzi grintosi, durante i quali le tastiere di Paich-Porcaro si sbizzarriscono in passaggi che ricordano a tratti La Stangata, a tratti frammenti di musica classica, per poi riportarsi sulle tipiche sonorità eighties che fanno partire l’urlo libero e l’ancheggiare delle ragazze.

La speranzosa “Gift of Faith” dà modo a Lukather di ricordare il glorioso anno del 1976, quando i Toto per la prima volta entrarono in studio di registrazione capitanati dal fratelli Porcaro; ricordiamo la prematura scomparsa di Jeff nel 1992 e la grave malattia di Mike, che ha condotto i Toto in un tour speciale nel 2010, volto a raccogliere fondi per la cura della SLA.

Dopo questo momento a dir poco commovente decido di rinfrescarmi con una seconda birra, ma le note inconfondibili di “Hold the Line” mi fanno precipitare di nuovo al mio posto e per la prima volta durante tutto il concerto si leva al cielo la voce unanime di tutta la platea. la corista dà il meglio di sè su questo brano, duettando con Williams in un intreccio di voci e gesti sensuali a siglare la fuggevolezza dell’amore, il suo ardore e la sua dipartita.

Intermezzo, la band si ritira e non manco di lanciare il mio barbarico “SòNAAAA!” per incitarli a rientrare, mi prendono in parola e riappaiono sulle tastiere esotiche e immaginifiche di “Africa”, altro momento clou della serata.

Purtroppo devo abbandonare il campo prematuramente (meglio non conoscere i dettagli del motivo) e mi perdo il finale, che mi viene raccontato telefonicamente da alcuni amici dalle prime file: una tripudio di suoni, di strabiliante virtuosismo capace di non scadere mai nel pesante, in perfetto equilibrio tra recupero di storiche sonorità e l’assemblaggio di tasselli nuovi che rivitalizzano il sound, senza snaturarlo.

Li rivedremo in Italia ancora una volta? A giudicare dalla grinta si direbbero pronti a nuovi tour mondiali, interplanetari se possibile. Forse è tutto merito di aver vissuto nel decennio del boom, della scintillante speranza, del rinnovamento.
Ed ecco che, con quella convinzione testarda e glitterata, non si muore mai.

Francesca Gabbriellini – Redazione musicale

 

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