Diciamocelo chiaramente, qui non si farà un report di un evento “visto”. Semmai si farà un racconto di un’esperienza vissuta. E’ altra materia questa, adatta più ai viaggiatori che ai giornalisti. Un viaggio è stato questo Collinarea, a Lari, che sicuramente ha permesso a chi l’ha seguito, dall’inizio alla fine, di uscirne cambiati, – perchè no? – migliorati.
L’ultima tappa di questo “viaggio” è stata una serata interamente dedicata agli artisti di strada, un evento che porta il titolo di InArea. In un arco temporale ristretto e in uno spazio ancora più contenuto si sono distribuiti una decina di spettacoli, uno più bello dell’altro.
Arriviamo a Lari che ancora fervono i preparativi per le performance della sera. Mentre i miei colleghi prendono un aperitivo, io attraverso in solitaria le varie viuzze ed angoli per poter apprezzare l’aria frizzante dell’aspettativa: quella degli artisti, e anche quella dei primi visitatori che arrivano in paese.
La curiosità mi porta ad essere tra i primi spettatori de “Il salone di Z***”, una performance sensoriale per un pubblico di sole due persone, curata dal Teatro dell’Elce. Ci si prenota, avverto il collega di Pisanotizie e si entra nella “Barberia” di Piazza Matteotti, un luogo quasi fuori dal tempo. Descrivere questa esperienza è qualcosa di arduo. Una volta entrati, veniamo bendati, e fatti accomodare nelle poltrone, seguono poi una serie di soundscapes da domenica mattina, tra suoni di campane in lontananza, rondini, fischi del barbiere. Poi arrivano i profumi: quelli della schiuma sul viso, del panno riscaldato sul volto dopo la rasatura, del dopobarba. Nel frattempo il barbiere non si limita solamente a fischiare, ma inizia un canto che parte come solista e poi diventa un canto a tre voci, armonizzato. Mai “sentito” niente del genere, è stato come aprire altri occhi, quelli del ricordo, e tornare al mio paese, nel salone del barbiere, ai discorsi e ai profumi che lo popolavano. Ha qualcosa di poetico questo spettacolo, mi ha interiormente toccato. Applaudiamo e ringraziamo.
Quando usciamo piazza Matteotti è diventata già “teatro” di un’altra performance, quella di “Lisboa”, un’opera itinerante dedicata a Fernando Pessoa. Lo spettacolo, diretto dalla regista danese Anna Stigsgaard con undici attori e musicisti in bicicletta, è prodotto dalla Fondazione Pontedera Teatro. Gli attori, vestiti di nero, rappresentano gli eteronimi di Pessoa, e accompagnano il poeta a visitare la città, le sue piazze e strade, che diventano così il luogo in cui le azioni, i canti, le musiche e le parole scandite in coro, ricreano l’atmosfera della vecchia capitale del Portogallo ai primi del Novecento. Gli artisti coinvolgono il pubblico, creano coreografie con le biciclette, entrano dentro le case di Lari. Alle coreografie si aggiungono molti momenti di canto armonizzato, i quali creano passaggi così intensi a livello emotivo da portare lo spettatore alla commozione. Contribuiscono alla resa “poetica” di questa performance anche i cappelli lasciati volare nel cielo blu del tramonto, attaccati a dei palloncini neri. Quelle bombette contro il blu del cielo sembravano citazioni di Magritte e così anche la sagoma di Pessoa che vola anch’essa in cielo. Spettacolare invece è stata la discesa dalle mura del castello di uno dei personaggi, legato ad una fune, che percorreva lo strapiombo come se camminasse. Non nego che quest’opera sia stata tra i momenti più elevati della serata.
Saltellando per Lari di gran fretta, per non perdermi nulla degli altri spettacoli, m’imbatto prima “Les Amant su Ciel”, uno spettacolo di coreografia aerea sulle pareti del castello. Due acrobati, sospesi a delle funi, ballano letteralmente sospesi nel vuoto. Anche vederli da lontano, dal basso, era emozionante. Poi c’è il “Draaago”, spettacolo curato dalla compagnia “Teatro dei Venti”, una vecchia conoscenza del Volterra Teatro. La performance prevede la più classica, e bella, delle trame: un Drago, una piccola città in balìa del suo potere, vittime, complici e un Cavaliere sconosciuto che prova a sconfiggerlo. La più classica sfida tra il Cavaliere e il Drago è il pretesto per uno spettacolo che incanta i bambini e gli adulti. La trama prende vita attraverso l’utilizzo di svariate tecniche del teatro di strada e di giocoleria: trampoli, bastoni infuocati, sette maschere giganti, sputafuoco, un drago alto cinque metri, cavalli di legno, e una batteria che suona dal vivo, più altri strumenti, tra cui una zampogna. Dal punto di vista scenografico e coreografico è uno spettacolo di grande impatto, e lo conferma il pubblico che si è persino arrampicato sulle mura del castello per avere una visuale migliore.
Un altro spettacolo notevole a cui assisto, mentre giro in tondo per il centro storico di Lari, è quello di “Sogni in volo”. La ginnasta ed acrobata area Valentina Franchino danza avvolgendo il proprio corpo in due strisce lunghissime di tessuto rosso, sospesa a sei metri d’altezza. Il sottofondo musicale che accompagna questa danza rende davvero suggestivo l’abbandono, sempre calcolato, con cui l’acrobata si lascia cadere dai tessuti, creando figure di grande eleganza.
Arriviamo già nelle ore serali più inoltrate, con l’esibizione di Vito e le orchestrine, un’ensemble a quattro (voce, violino, chitarra, percussioni). La voce di questo gruppo è un personaggio noto negli ambienti artistici genovesi, che scrive testi che sposano impegno politico ma senza pesantezze vetero-ideologiche. Ci sembra un simpatico anarchico della canzone folk, in questo compiuto egregiamente aiutato dai suoi compagni di band, e nel suo repertorio accoglie anche brani della tradizione popolare meridionale.
Sono le undici e arriviamo all’esibizione finale, quella che prevede l’esibizione di una vera e propria istituzione della musica popolare, ovvero Ambrogio Sparagna e l’Orchestra popolare italiana, accompagnata per l’occasione anche da una special guest: Peppe Servillo, frontman della formazione casertana Avion Travel.
Qui occorre fare una premessa, direi doverosa. In questi ultimi anni abbiamo assistito, soprattutto a Pisa (dietro l’influsso della popolazione studentesca d’origine meridionale), a tentativi di recupero della tradizione popolare. Il problema di queste operazioni è che spesso si risolvono in trionfo della didascalia da cartolina. La taranta (come altre tradizioni popolari) rischiano di perdere per strada, se sottoposti ad un tentativo di “volgarizzazione pop”, tutta quella densità antropologica di tradizione e cultura che le ha permesso di superare numerosi secoli e altrettante barriere.
L’opera di Sparagna è, invece, frutto di un trend, ma piuttosto costruisce, su un’impalcatura di ricerca filologica, una contaminazione tra le tradizioni che, dal centro Italia all’estremo sud, hanno trovato nel ritmo ternario della taranta un comune filo rosso. Per questo la sua esperienza di musicista ed insieme etno-musicologo rende un suo concerto quasi come una lezione universitaria. Non ingannatevi però, l’accademia qui non se ne sta sulla cattedra, anzi… tutt’altro. Sparagna è travolgente, nel modo in cui domina il palco, saltellando da un angolo all’altro, coinvolgendo il pubblico, scherzando con gli altri orchestrali. E’ un animale da palcoscenico.
L’Orchestra, tanto nel recupero di musiche popolari già note (strambotti, pizziche, canti popolari romani e tanto altro) come nella performance di nuove canzoni del tutto omogenee al resto, è un corpo solo. Un applauso va proprio ai membri dell’Orchestra, tra cui è impossibile non segnalare la voce pastorale di Raffaello Simeoni, uno dei migliori interpreti del canto popolare in circolazione.
Arriva poi il momento di Peppe Servillo, che realizza un concerto dentro il concerto. Servillo recupera una serie di canzoni della tradizione napoletana, in particolare i canti dei migranti, tra cui Santa Lucia, Munasterio ‘ e Santa Chiara, Lacrime Napulitane. La vocalità di Servillo, la sua mimica facciale, il suo modo assolutamente personale d’interpretare queste canzoni in dialetto, è una specie di miracolo. Da fan degli Avion Travel sono letteralmente rapito da questo momento.
Da segnalare come per tutto il concerto la piazza centrale di Lari è stata letteralmente infiammata dai ritmi del maestro Ambrogio Sparagna e dei suoi orchestrali. Donne che ballavano senza sosta in prima file, mani battute ad accompagnare i ritmi della taranta, gente che già sapeva molte delle canzoni. Sembrava di essere alla Notte della Taranta. Come tutte le cose belle il concerto finisce, ma non prima di un bis, con un’ulteriore riapparizione di Peppe Servillo.
Dopo il concerto, non sono ancora sazio, allora vado a cercare Servillo per scambiare qualche battuta per un’intervista. Si dimostra immediatamente disponibile.
L’ultima chiacchierata che facciamo è quella con Loris Seghizzi, direttore artistico del Festival Collinarea, a cui chiediamo un primo bilancio di questa edizione.
Noi “radio-logi” pisani in trasferta un bilancio l’abbiamo fatto, ed è più che positivo. Ci siamo innamorati del posto, abbiamo trovato le proposte artistiche davvero di gran gusto, e rendiamo agli organizzatori di questo festival un doveroso ringraziamento per aver permesso a noi giornalisti di essere sempre “sul fatto”. Se un piccolo borgo come Lari, in questi tempi di miseria economica, riesce a tirare su un festival del genere, vuol dire che non tutto è perduto. Sta adesso alla città, Pisa, con le sue istituzioni culturali, come l’Università, fare in modo che questa esperienza continui, cresca, e contagi tutta la zona delle colline pisane. Noi di Radioeco siamo pronti a fare la nostra parte.
Giuseppe Flavio Pagano