Il Collinarea sorprende sempre, e stavolta la sorpresa arriva da un incontro tra due sensibilità diverse ma attigue, in qualche modo coincidenti. Stiamo parlando di Simone Lenzi, frontman dei Virginiana Miller, e Luca Mori, storico della filosofia.
L’attiguità e la vicinanza tra queste due “guide” nella notte di Lari è data dal fatto che Lenzi è stato uno studente di filosofia presso l’Università di Pisa, e probabilmente ha avuto gli stessi docenti di Mori. Poi le strade si sono divise, perché se Mori ha continuato nel campo dell’accademia e della ricerca, Simone Lenzi ha toccato esperienze diversissime, da libraio a traduttore di Marziale, da cantante sino a diventare scrittore puro. E la passeggiata notturna per le vie di Lari, con queste due personalità, parte proprio dall’esordio letterario di Lenzi, cioè “La generazione”, il romanzo pubblicato da poco per i tipi della Dalai editore.
Questo libro, come ci tiene a precisare l’autore, ha una trama scarna. Si sviluppa attorno alla storia di una coppia che vuole concepire un figlio, problema non da poco. La coppia si mette nelle mani di medici e biologi, mentre il marito, portiere di notte, raduna con le sue letture una solida conoscenza degli scienziati del passato che si sono occupati del problema. Proprio queste letture sono il pretesto per liberare quelle che poi sono le differenze, insolute, e le incomprensioni tra mondo maschile e femminile. Attorno a loro tutto è vita, tutto è in divenire.
Sul problema della “generazione”, cioè dell’atto di generare, di nascere, interviene dunque Mori. Sulle scale del castello di Lari lo studioso cita un passaggio suggestivo delle Lettere milanesi di Rilke: “Nasciamo, per così dire, provvisoriamente, da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente”. Dunque gli interventi di Mori s’indirizzeranno sul filone della “genesi della forma”, un problema su cui ruota buona parte della filosofia antica. Riferimenti obbligati in questa passeggiata sulla genesi, sul ciclo di nascite che viviamo, diventano quindi Aristotile, Anassimene, persino Lucrezio, per toccare poi le teorie del pre-formismo e le descrizioni di Robert Musil, capace di percepire i cambiamenti in tempi medio-lunghi, come la nascita dei condomini.
Dissertazioni a tutto campo, quindi, sotto un cielo illuminato da una luna splendida, mentre la passeggiata si snoda tra giardini (pubblici e privati) incantevoli sotto il castello di Lari.
Lenzi legge alcuni stralci della sua opera, tra cui l’iniziale citazione d’Ippocrate: “La vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione fuggevole, l’esperimento pericoloso, il giudizio difficile”. Questa frase in qualche modo sarà il leit motiv che condurrà poi Mori sulla riflessione finale dell’incontro. Il finale della passeggiata sono due canzoni dei Virginiana Miller, entrambe tratte da “Il primo lunedì del mondo”: la prima è Onda, che narra del tempo che intercorre tra l’invio di una cartolina e la sua lettura, e proprio il tempo ne modifica radicalmente il senso (“Ti arriveranno le cartoline dove ti dico che stiamo bene e che siamo in paradiso”); l’altro pezzo è La carezza del Papa.
Mori pone la conclusione alla passeggiata con una lode all’esperienza estetica, quindi alla poesia, al teatro, alla musica, che permettono all’uomo di darsi altre possibilità, altre nascite. Ciò rappresenta il contrappeso a quell’altra tendenza, esclusivamente umana, di autodistruzione consapevole. Perciò la via sembra proprio quella indicata dal paesaggio notturno che si apre dietro le spalle di Lenzi e Mori, da una piazzetta che si apre sulle colline pisane. Alzare lo sguardo al cielo diventa un modo per non cessare di nascere altre volte, per rifarsi un’infanzia felice senza devastare il mondo.
Giuseppe F. Pagano