Non capita tutti i giorni di salire a Lari, in una sera di mezza estate, e poter apprezzare in un dialogo, quasi intimo e tra pochi intimi, la voce di Michele Mari, scrittore tra i più interessanti del panorama nazionale. L’autore, intervistato dalla docente e critica Carla Benedetti per il Collinarea Festival, tocca alcuni personaggi che popolano “Tutto il ferro della Tour Eiffel”, romanzo che fa incontrare i protagonisti della vita culturale internazionale degli anni 30, tra le vie di Parigi. Mari così entra dentro i luoghi del ricordo di Gadda, dentro conversazioni notturne di Thomas Mann con il figlio suicida, ma c’è spazio anche per il giardino di Leopardi e per il mare di Melville, e persino l’amata-odiata Milano. L’eloquio di Mari è affascinante al pari dei suoi funambolismi letterari, degni dei più grandi modernisti.
Poco dopo questi viaggi per i luoghi della letteratura, è il momento di tornare nell’Italia più terragna, quella concreta, quella fatta di vortici di numeri e di personaggi-metafora, di storie prese dal telegiornale che si sommano a una letteratura da viaggio negli inferi. Dalla penna tagliente di Stefano Massini esce così il miglior tributo all’Italia dopo la sbornia delle celebrazioni del 150° dell’Unità: L’Italia s’è desta (Catalogo no-strano). Ciro Masella one man show, in una pièce teatrale che non indugia certo nella retorica. Una scrivania, una voce, molti personaggi. Lo spettacolo è scandito da scritte che compaiono sopra la scrivania. Per citarne qualcuna: Italia Numbers, Italia Tourism, Italia Comics, Italia Kamikaze, Italia for Children.
Lo spettacolo, che originariamente è interpretato da tre attori e con più episodi, qui si presenta disidratato ma ugualmente deflagrante. Le storie sono brevi, tra il grottesco e il tragicomico, talvolta tragiche soltanto. Per esempio uno spazzino per la strada che sente bussare da sotto terra, apre un tombino con un collega ed escono fuori 40/50 cinesi che alloggiavano lì in una specie di dormitorio sotterraneo. Oppure c’è un tizio a Napoli, uno squilibrato, che è finito anche sulla stampa estera che si mette una specie di pigiama con una saetta per diventare un supereroe: Entomon. O ancora la preveggenza della maga Esperanza che vende speranza a eterni ultimi ai concorsi pubblici.
Chi legge i giornali, chi guarda la tv, chi ha modo di attraversale lo Stivale, sa che queste storie non sono né inventate né casuali. Hanno la forza dei luoghi comuni veri, che servono a districare in parte la complessità del nostro Paese. Inoltre la sequenza così serrata ha l’effetto di creare quella vertigine della lista di cui già dissertava Umberto Eco, un blocco di notizie apparentemente slegate tra loro, ma che in successione ricordano surrealmente le maschere e i fatti grotteschi narrati da Studio Aperto o da La Padania. La resa, davvero nitida e sadica, è resa ottimamente da Masella, che è anche regista oltre che interprete. Si suddivide in registri totalmente differenti, alcuni dei quali sono letteralmente trascinanti, come la maga tarantina Esperanza. Rimaniamo davvero soddisfatti da questa prova, se vogliamo muscolare oltre che estetica, considerando la concentrazione degli episodi.
Prima di lasciare Lari però ci avvertono che c’è uno spettacolo sul castello. Accorriamo, entrando in uno spiazzo davvero gremito, e per un attimo ci sembra uno scherzo. L’entrata è la stessa di quella che compariranno gli attori successivamente, quindi ci troviamo tutti gli occhi degli spettatori addosso. Ci tengo a ribadire alle prime file che “non c’entro niente, io non recito!”. Si sorride un po’, perchè la scena si ripete con altri ultimi arrivati che si trovano ad attraversare il “palcoscenico”. Non ho il tempo di consultare bene il programma, si parla di “Otleto”, ma non capivo di cosa potesse trattarsi. Poco dopo mi è chiaro: entrano in scena i personaggi di Amleto, vestiti di mantelli neri e con portacandele in mano. Scena totalmente avvolta nel buio della notte, con lo sfondo delle mura del castello. Situazione estremamente curata dal punto di vista dell’effetto scenico. Dopo un po’ ci rendiamo conto che ci troviamo di fronte a un vero e proprio esperimento, la storia di Amleto si somma e si fonde a quella di Otello, peraltro interpretato da una giovane ragazza. Le due compagnie shakesperiane si trovano, loro malgrado, a lavorare nello stesso luogo. C’è un gioco di non-sense, di auto-ironia, e di rimandi tra un’opera e l’altra. L’esperimento sembra proprio riuscire, nella misura in cui gli attori stessi si ribellano al testo, all’autore, e si annullano a vicenda. Sino ad arrivare all’ultimo atto, corale, in cui le maschere saltano, e rimangono i volti piangenti.
La rappresentazione è il traguardo di un percorso formativo, che si è svolto all’interno di Scenica Frammenti, stavolta con un esito decisamente più felice e fortunato rispetto al Romeo e Giulietta della prima serata. Entrambe le compagnie hanno dato una buona prova che, in più punti, ha davvero toccato soluzioni suggestive, soprattutto sul finale. Lasciamo Lari quando ancora il palcoscenico del castello è ancora impregnato dell’odore di cipolle e lacrime dell’ultima tragedia.
Giuseppe F. Pagano