NBA, Lebron James: E ora? Tutti zitti.

Vi chiederete il perché di un titolo così aggressivo… bene, vi accontento subito.

Io non sono assolutamente tifoso dei Miami Heat, però da amante e conoscitore di questo sport, negli ultimi due anni sono rimasto abbastanza scocciato dalle continue accuse a Lebron James riguardo alla sua scelta, rivoltegli da giornalisti, tifosi delle altre 29 squadre e anche da gente che non hai mai visto alzare una palla a due.

Per anni LBJ è stato etichettato come un grandissimo perdente, un buffone capace di segnare 40 punti in stagione regolare e di sgretolarsi invece quando conta davvero. Al primo anno in maglia Heat, squadra completamente nuova, priva di una qualsiasi impostazione di gioco, che si è ritrovata a passare da una squadra da 30 vittorie in stagione, ad un roster da titolo, il “perdente” è riuscito ad arrivare in finale, eliminando Boston e Chicago (sulla carta molto più “squadre”) e perdendo solo per mano di uno strepitoso Nowitzki. Non male vero? Invece di clemenza neanche a parlarne. Anzi, massacrato psicologicamente ancora più di prima.

Stagione 2. Stesso copione: “se non vince neanche quest’anno…”. Gli Heat guidati dal modesto Spoelstra (che si prenderà lui pure le sue rivincite), aggiungono un pezzo molto importante al loro roster, l’esperto Shane Battier, difensore top e all’occorrenza knock-down shooter. L’inizio però pare molto simile a quello della stagione scorsa, pochezza sotto canestro con Haslem, Turiaf e Anthony che non paiono all’altezza e Bosh discontinuo sui due lati del campo.

La stagione regolare viene vinta di nuovo dai Bulls, e gli Heat si presentano ai playoff da testa di serie numero due, con più dubbi che certezze.

Prima serie con i Knicks poco impegnativa, 4-1 facile anche per demeriti altrui. Secondo turno sulla carta più impegnativo contro i giovanissimi Pacers dell’ottimo Frank Vogel, che eliminano i Magic privi di Howard. Equilibrio già da gara 1 con gli Heat che la spuntano nel finale, ma perdono Bosh a tempo indeterminato. I Pacers si portano sul 2-1 e la spada di Damocle torna a pendere sulla testa di Lebron. Peccato che lo stesso e D- Wade (ah si c’era anche lui) decidano di non arrendersi così facilmente e con una gara 4 mostruosa ribaltano le sorti della serie, e gli inesperti Pacers gettano la spugna già in gara 5: 4-2.

In finale di conference, gli Heat trovano gli “stagionati” Celtics degli original big3, reduci da sette estenuanti partite contro i modesti Sixers. Subito 2-0 Heat, che anche senza Bosh sembrano poter liquidare in fretta la pratica. Falso. Una volta un tizio disse “never underestimate the heart of a champion” e Doc Rivers questa frase l’ha usata spesso in quei giorni. Fatto sta, Celtics 3 Heat 2, trascinati da un meraviglioso Rajon Rondo e da un Garnett formato 2004. Heat ad un passo dalla disfatta. Viene fatto rientrare in tutta fretta Bosh, che pur non avendo un grande impatto in gara 6 aiuta i suoi a riprendersi il fattore campo. Gara 7 invece è tutta per LBJ e D-Wade che hanno la faccia giusta e si prendono la serie, sempre ben coadiuvati da Battier e Chalmers.

In finale a soprpresa, ma non troppo, ci sono gli OKC Thunder di Kevin Durant e Russell Westbrook che hanno “matato” gli Spurs in sei partite, dopo aver rimontato da 0-2. Quindi si annunciava una finale tra le più combattute di sempre. Peccato che il ragazzone in maglia numero 6 aveva idee diverse. Gara 1 va i Thunder grazie ad un ottimo Durant, poca gente immaginava che sarebbe stata l’unica vinta dalla squadra di Brooks. Da gara 2 in poi, Lebron prende in mano la serie e i Thunder non riescono più a fermarlo. Il prescelto mette in mostra una varietà di colpi (passatemi il termine tennistico) mai vista prima, in post, fronte a canestro, dal palleggio, da fermo, da tre… chi più ne ha più ne metta. 4-1 Heat e inizia la festa, primo titolo e MVP delle finali che bissa quello della regular season. Il prototipo del giocatore perfetto, quello che già dal 2003 avrebbe dovuto prendersi in mano la lega, glielo aveva predetto anche Tim Duncan nel 2007, ci ha messo quasi 10 anni ma alla fine ce l’ha fatta, e non dimentichiamo che ha solo 27 anni. Vi ricordate cosa disse nell’estate del 2010? “… not one, not two, not three, not four…”

Adesso chi ha ancora il coraggio di scommettergli contro?

 

Andrea Iacopini

Redazione Sportiva

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