Puntuale come sempre arriva in Italia l’onda lunga del risultato del primo turno delle elezioni presidenziali in Francia. Quest’onda lunga non è solo costituita da un dibattito sui risultati in sé, sullo stato di salute della democrazia dei nostri cugini d’oltralpe, ma moltiplica i già percepibili nervosismi degli investitori in Borsa, facendo affondare ieri Piazzaffari con un meno 3,8%, mentre l’indice paneuropeo Stoxx 600 ha perso il 2,34%. Spread in risalita, invece, per tutti i paesi europei del bacino mediterraneo, Francia compresa.
Il timore degli investitori è che una vittoria del socialista Hollande porti a ridefinire i rapporti con la Germania, lasciando meno spazio all’intransigenza della cancelleria tedesca in termini di politiche economiche comunitarie, rivedendo perciò la linea del rigore imposta dalla Germania. I mercati sono incerti, e su questo pesa anche la crisi spagnola e le dimissioni del premier olandese. Ma comunque vadano le elezioni del secondo turno, anche una riconferma di Sarkozy potrebbe mettere in discussione l’asse franco-tedesco, poiché sino ad oggi il “sarkozismo” a livello economico è stato fallimentare per la Francia, la quale oggi è il paese europeo con meno esportazioni e costi più alti del lavoro. A livello mediatico Sarkozy, inoltre, farà ampie concessioni all’elettorato protestatario e xenofobo, cercando di spostare l’asse dell’attenzione su problemi fittizi.
Ciò accadrà perché il dato più interessante nella competizione francese è il risultato schiacciante di Front National. Non si tratta di un
semplice partito dell’ultra-destra, come viene bollato, ma un movimento populista che incarna istanze protestatarie e identitarie. Non basta etichettarlo come “estrema destra” perché ha delle peculiarità che lo rendono sfuggente a questa categoria, innanzitutto è un movimento laico, secondariamente l’aspetto nazionalista è solo uno dei temi caratterizzanti. Infatti la caratteristica principale del lepenismo è un appello al popolo, a tutte le classi sociali, dal contadino all’avvocato, individuando nel popolo la somma di ogni virtù. Infine l’elemento fondante della dialettica di Le Pen è un manicheismo esasperato, dove esiste un “asse del male” costituito da poteri occulti, banche, finanza, immigrazione, e un “asse del bene”, che ovviamente è il popolo, nella sua totalità interclassista.
Il 17,90% del FN guidato da Marine Le Pen (figlia di Jean-Marie Le Pen) supera persino il risultato storico del padre alle elezioni del 2002, con il 16,86%, che permise al movimento di accedere al secondo turno. L’elettorato di FN è sfuggente ai sondaggi, un po’ come la Lega Nord, poiché i suoi simpatizzanti raramente ammettono di votare per Le Pen. Il voto a questi partiti è vissuto con un certo imbarazzo, soprattutto per la classe media, ecco perché alla fine risultano più “visibili” gli elettori della cosiddetta “classe proletaria”.
A star dietro ai sondaggi l’elettore medio del FN dovrebbe avere un’estrazione sociale modesta, un’istruzione medio-bassa, e un profilo tendenzialmente maschile. Le cose non stanno assolutamente così, perché la stessa leader del FN è una libera professionista, e tantissimi tra i simpatizzanti e militanti sono i liberi professionisti, artigiani, commercianti, dipendenti del terziario e dell’industria che simpatizzano per il lepenismo, come dimostrano già diversi studi di politologia pubblicati in Francia e Italia. Lo dimostra, come se non bastasse, il fatto che il lepenismo è un diretto discendente del poujadismo, un movimento populista nato negli anni 50 con una spiccata carica anti-fiscalista e protestataria, rivendicando la difesa dei commercianti e degli artigiani. Inoltre molto conta il voto di “protesta”, molti francesi hanno votato Le Pen per rendere “visibile” un malcontento nei confronti dei partiti tradizionali, ma al secondo turno voteranno per i due candidati maggiori, oppure decideranno per l’astensione. Quindi il voto al FN deve essere interpretato come un segnale di disagio, tipico in tempi di crisi economica, nei confronti di una democrazia sovrana che viene percepita come una “provincia” d’Europa.
Come sanno bene i politologi il doppio turno francese garantisce che al ballottaggio non vincano mai partiti estremi o populisti, mentre in Italia la loro presenza nel governo o nella maggioranza parlamentare (vedi Lega Nord) è fondamentale. Ma è anche vera un’altra cosa, cioè che i partiti tradizionali, a maggior ragione Sarkozy, saranno tentati di sposare i temi populisti, per recuperare quell’elettorato che altrimenti si asterrebbe. Infatti Sarkozy l’ha dimostrato ampiamente, dichiarando: “L’Europa che non regola i suoi flussi migratori, che non difende le sue frontiere, che apre il suo mercato senza una contropartita, è finita!”. Un punto fondante del lepenismo è già entrato nella sua agenda politica. Ma è anche prevedibile che giocherà una carta cara alla semantica lepenista, ovvero la paura: la caduta dei mercati, il timore della sinistra, l’invasione degli stranieri. Inoltre la personalità nervosa e ingombrante di Sarkozy cerca di ricreare una sorta di neo-bonapartismo, in cui il leader cerca il plauso plebiscitario e pertanto si appella direttamente al popolo. Tutto il contrario di Hollande, un leader mite, e fondamentalmente privo di slanci di protagonismo.
Non sorprende, quindi, che in una situazione di profonda crisi nell’euro-zona s’inneschino spirali di critiche e proteste verso Bruxelles, sacrosante peraltro. Sorprende semmai che i cittadini francesi coniughino la protesta contro la finanza con derive xenofobe, istigati non solo dai partiti populisti come Le Pen, ma anche da quella che dovrebbe essere una destra laica e universalista come quella francese. Il nazionalismo francese ha sempre avuto un’accezione più “civica” che “etnica”, anche per via del passato colonialista, quindi il peso di questi rigurgiti xenofobi non sono affatto da trascurare, soprattutto per non ripetere l’esperienza delle banlieues. Sarkozy dimostra, di fatto, che esiste più una corsa verso le ali estreme che verso il centro.
Come accade in Italia, la cronaca nera, in queste situazioni, dà una mano: la vicenda di Mohamed Merah, ragazzo d’origine algerina che apre il fuoco in una scuola ebraica di Tolosa e uccide tre bambini e un adulto. Pertanto il caso singolo diventa metonimia di un ipotetico terrorismo islamista, diffuso anche in provincia, che si vuole vendicare degli occidentali e di Israele. Tutto questo ha avuto il suo peso nell’orientare le coscienze un mese prima delle elezioni. In questo senso Marine Le Pen ha già vinto nel momento in cui la caccia al nemico della Nazione diventa una tematica che appartiene al “senso comune” ed entra nell’agenda politica dell’Eliseo.
I giochi per il secondo turno sono apertissimi, ed è forse proprio questa incertezza che turba i mercati. Come accaduto in Italia, fare concessioni alla paura da disinvestimento porta solo a scelte e influenze che minano la democrazia, pertanto per il lungo periodo c’è da sperare in una vittoria di Hollande, in modo tale che la politica prevalga sulla finanza, e in Europa si crei una maggiore dialettica tra i paesi membri, così da portare più verso soluzioni di crescita che non quella spirale recessiva “made in BCE” che alimenta ulteriormente un impoverimento civile, seminando solo rancori e derive xenofobe.