Il terremoto che ha travolto la Lega Nord nelle scorse settimane in realtà non trova più di tanto sorpresi gli analisti e osservatori del fenomeno leghista. È come se questo finale fosse, in qualche modo, già scritto dal 2004, anno in cui Bossi fu ricoverato d’urgenza per il suo ictus. Da quel momento l’autorità carismatica del leader diventò semplicemente un feticcio da proteggere, un’autorità non più reale ma simbolica, in quanto fondativa.
Quelle che poi erano invece le debolezze del partito in sé erano note sin dal 1992, durante l’era Tangentopoli, con le vicende che videro coinvolti Patelli, lo storico tesoriere di via Bellerio, il quale intascò una tangente di 200 milioni dal Gruppo Ferruzzi, per conto di Bossi. Patelli passò alla storia come “il pirla” della Lega, però la Lega proprio in quell’anno agitava i cappi a Montecitorio, come ritrae la celebre foto che immortalò l’allora deputato Leoni-Orsenigo.
Ma le velleità affariste della Lega continuarono con spericolate operazioni, dalla fondazione nel 1998 della “Banca
della Padania”, ovvero Credieuronord, la quale poi fallì lasciando un buco di milioni di euro, e fu rilevata da Giampiero Fiorani, quel Fiorani che poi fu arrestato per associazione a delinquere, aggiotaggio manipolativo e informatico, e ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia, in seguito alla scalata (fallita) ad Antonveneta.
Non ultimo poi ci sono le speculazioni di alcuni dirigenti leghisti (Balocchi, ovvero l’ex tesoriere della Lega, ed Enrico Cavaliere, l’ex presidente del Consiglio regionale veneto in quota Lega Nord) in Istria, attraverso la creazione ad hoc di una società finanziaria (la Ceit) per acquistare quattordici ettari di terreno edificabile (180 appartamenti, albergo, golf, piscina, centro benessere), di fronte al Golfo di Venezia. Questa operazione aveva anche l’appoggio finanziario dell’allora governatore della Carinzia, Jorg Haider, leader dell’estrema destra austriaca e amico di Bossi. Un affare che convinse un centinaio tra militanti o simpatizzanti (tra loro, anche Manuela Marrone, la moglie di Bossi) a sottoscrivere le quote, con una somma minima di 40 milioni di vecchie lire. La Ceit poi fallì, e Cavaliere fu accusato di bancarotta fraudolenta e condannato a due anni e tre mesi di reclusione. Infine ci sono le notizie risalenti a gennaio dell’affair Cipro-Tanzania scoperto da “Il Secolo XIX”, stavolta con la regia di Belsito, il tesoriere della Lega erede di Balocchi.
Oggi come allora gli investimenti all’estero rappresentano un uso distorto se non, addirittura, al limite dell’illegalità, dei finanziamenti pubblici per generare nuovi introiti nelle casse del partito. Ma, aldilà dell’accento sugli investimenti spericolati della Lega, c’è anche un altro discorso da rimarcare, ovvero come la Lega Nord abbia occupato una fitta trama di posti di potere, centrale e locale, in tempi molto rapidi. Inoltre la sua classe politica è stata reclutata in base a criteri di fedeltà ai leader, non di coerenza con la “missione” del partito, né in base a criteri meritocratici o intellettuali. Pertanto non è raro vedere oggi a Montecitorio deputati leghisti eletti nel “listino” solo perché fedeli attacchini di manifesti premiati dopo due decenni di militanza o, ancora peggio, rappresentanti eletti per il solo peso del cognome, come accaduto con Renzo Bossi.
Quindi la bomba dentro il ventre della Lega era già stata posta da tempo. In qualche modo già parecchi sapevano, anche tra le fila dei maroniani, cosa e chi stava trafficando mettendo le mani in cassa. La bomba è stata pazientemente protetta per avere un’esplosione di tipo “politico”, ovvero che servisse a far fuori un intero quadro dirigente nel momento in cui i tempi fossero stati maturi. Da qui tutta la simbologia delle scope e dei cappi, dei pollai da ripulire e dei proclami sulla meritocrazia, una “teatralizzazione” che serve a dare connotati simbolici a una lotta molto più materiale, a una lotta di successione più che di secessione. Si è scelto d’individuare alcuni capri espiatori, in Belsito, Rosy Mauro e Renzo Bossi, mentre in realtà le intercettazioni lasciano intuire coinvolgimenti più ampi, sia a livello di direzione che a livello locale.
Non è un caso che questa bomba sia scoppiata dopo l’eclissi di Berlusconi. Molti sono i fili che legano le sorti dei due partiti del Nord. Infatti se Berlusconi ha dato voce al capitalismo dei “beni immateriali”: media, comunicazione, assicurazioni, finanza, servizi, mentre la Lega ha rappresentato gli interessi del capitalismo molecolare della “Terza Italia, la piccola imprenditoria ma anche il lavoro dipendente dei settori di confine tra industria e artigianato, in quei territori che potremmo chiamare “Pedemontania”, ovvero la lunga fascia pedemontana che dal Friuli si estende sino in Piemonte. Entrambi questi Nord sono due declinazioni del post-fordismo, e quindi sono l’altra faccia del Nord industriale, quello di Torino e Genova per intenderci.
Entrambi i partiti si sono “meridionalizzati”: la Lega perché ha utilizzato le pratiche di sotto-governo e clientelismo tipici della vecchia DC, addirittura colorandosi come un “partito dinastico”, mentre il PDL perché alle pratiche di sotto-governo ha anche unito un radicamento nel Sud Italia (basti pensare alla provenienza di Alfano), pertanto ne ha cambiato profondamente i connotati identitari. Quando Berlusconi era ancora alla guida dell’esecutivo probabilmente lo scandalo interno alla Lega non avrebbe avuto questo effetto così dirompente, e probabilmente, la magistratura sarebbe stata più impegnata a occuparsi degli scandali interni al PDL, come accaduto con il caso Cosentino o Papa. In qualche modo Berlusconi era un “parafulmine” anche per il suo alleato Bossi. Nel contesto di un governo tecnico il quadro delle priorità è cambiato, così si è aperto uno squarcio in uno dei due partiti all’opposizione.
Sarei piuttosto cauto nel dire che questa bomba dilanierà il tessuto delle fedeltà leghiste. Anzi, il tipo di militanza della Lega assomiglia a quello che era caratteristico del PCI, ovvero forte radicamento nel territorio e forte carica identitaria. Non è un voto d’opinione e quindi per sua natura è poco suscettibile a fluttuazioni per scandali o vicende contingenti. È dunque assai probabile che i militanti d’antica data inghiottiranno la pillola amara, scaricheranno la frustrazione in una simbolica (e poco concreta) “pulizia interna”, e forse solo i bossiani di più stretta osservanza saranno estromessi da ogni incarico interno, come in una specie di spoils system tutto interno alla Lega.
Per quanto riguarda le elezioni amministrative, momento di grande importanza per un partito come la Lega, non ci saranno grandissimi colpi di scena. Poiché i candidati a sindaco o al consiglio comunale della Lega sono votati per “conoscenza diretta”, e influisce poco lo scandalo nazionale. Influirà di più la scelta di correre da soli, magari contro candidati del PDL e del centro-sinistra, che esponenti come Maroni e Tosi hanno più volte auspicato e sostenuto. Inoltre la Lega è avvantaggiata perché non è in maggioranza al Parlamento, e pertanto i sindaci e i candidati a sindaco del Carroccio sono i più polemici nei confronti dei tagli ai fondi degli enti locali applicati dal governo Monti.
L’unica vera novità non sarà un arretramento di quelle che sono le fedeltà leghista, ma semmai una mutazione genetica, in qualche modo fisiologica e necessaria: la trasformazione della Lega da partito/movimento carismatico in partito tradizionale, con una leadership politica come quella di Maroni, non più basata su assetti di tipo familistico, ma con una divisione del potere interno su criteri più impersonali. Ciò comunque non significa che il Capo sarà messo da parte, anzi. Sarà semplicemente “imbalsamato” nella sua funzione di totem fondativo, nel ruolo di presidente federale, servendo da garanzia per le due anime della Lega ed evitando così la scissione o la formazione formale di correnti interne. Già Maroni stesso è entrato nella parte, imitando nel linguaggio le due anime della Lega, quella movimentista e sboccata (tipica di Bossi), e quella istituzionale già più congeniale all’ex titolare del Viminale. L’ha dimostrato nella manifestazione di Bergamo, alternando un linguaggio più colorito a uno più solenne.
Quindi uno scenario prevedibile è la progressiva istituzionalizzazione del partito, il quale tornerà presto a stabilire relazioni con “chiunque” possa garantire un qualche barlume di riforma federalista. Resta il fatto che per la Lega non è più cavalcabile l’adagio del “Roma ladrona”, e cosa ancora più importante, il “Nord” si trova sempre meno rappresentato politicamente, in seguito alle macerie morali lasciate dal centro-destra ma anche dal centro-sinistra. Quindi la “questione settentrionale” è tutt’altro che archiviata, anzi potrebbe diventare terreno fertile per nuovi partiti di protesta meno compromessi con l’attività di governo.