Domenica sera lo Zambia si è laureato campione d’Africa battendo 8-7 ai calci di rigore la favoritissima Costa d’Avorio. I tempi regolamentari e quelli supplementari si erano conclusi a reti inviolate, complice l’errore dal dischetto del capitano degli Elefanti, Didier Drogba, che a meno di un quarto d’ora dal 90’ ha spedito alto un calcio di rigore che poteva cambiare la storia del torneo.
Ma certe volte la Storia non vuol essere cambiata, vuol decidere da sola quale percorso seguire, e coloro a cui sembra di scriverla non sono altro che protagonisti di un copione il cui finale è già scritto. Non da oscuri manovratori del potere, non da registi con il gusto del lieto fine, ma dal Fato…o come piace pensare a chi scrive…da Qualcuno che decide di intervenire per rimettere le cose al loro posto, per dare a chi è stato tolto.
Lo Zambia ha vinto domenica la sua prima Coppa d’Africa in Gabon, giocando la finale a Libreville, la città nella quale il 27 Aprile del 1993, una sciagura aerea cancellò in un istante una delle nazionali calcistiche più forti di sempre del paese, mentre era diretta in Senegal per una gara valida per le qualificazioni ai Mondiali americani dell’anno successivo. E l’attuale Presidente della Federcalcio dei Chipolopolo (letteralmente “proiettili di rame”), Kalusha Bwalya, è l’unico giocatore rimasto in vita di quella squadra (peraltro unanimemente considerato il migliore in assoluto di quella compagine), perché essendo impegnato in un match con la formazione olandese del Psv, in cui all’epoca militava, raggiunse Dakar con mezzi propri invece di salire a bordo del velivolo con i suoi sfortunati compagni. Sabato, vigilia della finale, il tecnico degli zambiani, il francese Hervé Renard, ha portato la squadra sulla spiaggia dinanzi alla quale si inabissò l’aereo dei loro connazionali, e ha lasciato che ogni calciatore deponesse un fiore sull’acqua alla memoria.
Non saranno pochi quelli che, leggendo queste poche righe, mi accuseranno di incontrollato romanticismo o di eccessiva ingenuità, o di tutti e due insieme. Ma non mi interessa. Non importa. Non li biasimo. Anzi, forse sono loro ad essere dalla parte della Ragione, quella per cui tutto ciò che ho raccontato è frutto, soltanto, di fortunate coincidenze. E però, se anche uno solo di essi fosse smosso dalle suo scetticismo, ne sarei compiaciuto, ma non per un vezzo d’orgoglio, quanto perché, almeno per un po’, il suo pur legittimo cinismo avrebbe lasciato spazio ad un sogno, e ad un po’ di speranza.
In fondo, in questo mio presunto vaneggiar, che tanti chiameranno delirar, credo di essere in buona compagnia. Una volta, diversi anni fa ormai, fu chiesto a Roberto Baggio come si spiegasse l’errore dagli 11 metri contro il Brasile nella finale mondiale di Pasadena. Il Divin Codino rispose: “Non avevo mai calciato un rigore sopra la traversa. Penso che quel giorno è stato Ayrton Senna che, dal cielo, ha spinto il pallone verso l’alto”.
A presto, sperando che lo sport regali altre storie che scaldano il cuore.
Andrea Salvini
Redazione sportiva