Questa settimana si esce di Mercoledì…me ne scuso con i miei venticinque lettori (ogni riferimento a Manzoni non è casuale), ma tipi diversi di impedimenti hanno fatto che sì che la rubrica non fosse disponibile per il Lunedì appena trascorso. E però, tutto il male non viene per nuocere, perché mentre Lunedì con ogni probabilità avreste letto qualcosa che aveva a che fare con la giornata appena trascorsa di campionato (un’analisi di vicende pallonare legate al calcio giocato andrà in scena Venerdì, in modo da avere una panoramica completa sugli aspetti più interessanti che sono emersi fino alla sosta invernale), oggi ci dedichiamo ad un tema del quale avremmo fatto volentieri a meno di parlare, e che però, dal momento che è emerso, non è in alcun modo trascurabile.
Molti di voi, se non tutti, avranno già capito che queste righe insisteranno sulla vicenda del calcio-scommesse, riesplosa in tutta la sua forza e drammaticità negli ultimi giorni, con gli arresti di 17 persone, dove spiccano i nomi e i volti di alcuni calciatori, tra i quali senza dubbio il più conosciuto è Cristiano Doni, l’ex capitano dell’Atalanta.
Prima di ogni considerazione di sorta, una doverosa premessa, che riguarda il sottoscritto: sono molto poco garantista; le intercettazioni apparse sui quotidiani in questi giorni sono, a mio parere, più che sufficienti per esprimere una piena condanna, quantomeno morale, nei confronti delle persone coinvolte, perfettamente consapevoli di quello che stavano commettendo. Certamente andranno distinte le responsabilità, perché gli organizzatori, i capi, gli squali, hanno indubbiamente più colpe rispetto ai pesci piccoli che sono finiti nella rete, abbagliati dal facile guadagno. E scrivo questo anche e soprattutto perché, come mi faceva notare un amico in una conversazione recentissima, chi ha sbagliato una volta, per avidità, ingenuità o altro, anche se avesse voluto uscirne avrebbe avuto difficoltà immani, dal momento che questo tipo di organizzazioni criminali non sono solite avere e farsi scrupoli, e quindi, o si ha la forza di non scenderci mai a patti, oppure anche una sola volta diventa troppo per pensare di evaderne quando si vuole. E però, sebbene di reati si tratti in entrambi i casi, le pene dovranno essere calibrate come si deve.
L’aspetto sul quale mi interessava soffermarmi però è un altro: finché non sono uscite le intercettazioni di questi giorni (sebbene sia rimasto qualche temerario che non vuol arrendersi neanche davanti all’evidenza; Zamparini, il presidente del Palermo, è uno di questi) erano molti quelli che, in nome della fede calcistica o dell’amore per l’idolo d’infanzia (o della ruffianeria che porta consenso sociale), non avevano esitato un solo attimo a difendere gli arrestati di oggi. Le manifestazioni dei tifosi dell’Atalanta, alle quali hanno partecipato anche esponenti politici di schieramenti opposti sono lì a testimoniarlo: la bravura sul campo, l’amore della piazza nei confronti del beniamino della domenica pomeriggio, come prove sufficienti della sua non colpevolezza. Sembra assurdo, eppure è successo questo. Ma d’altronde non c’è poi troppo da stupirsi di queste prese di posizione in un’Italia in cui l’ex premier pluri-inquisito e condannato è riuscito e riesce a far credere alla maggioranza dei suoi connazionali che l’invidia per il suo potere è la sola causa di ogni suo processo. Ci siamo abituati a processi condotti a Porta a Porta, in cui le opinioni e le suggestioni contano più dei fatti, o i fatti non vengono esposti come si dovrebbe.
Il punto nodale di tutto il discorso è proprio questo: c’è, nel nostro paese, una cultura, o meglio, un’ignoranza diffusa per cui di fronte alla notizia di un avviso di garanzia si reagisce quasi sempre difendendo l’indagato e dubitando dell’operato della magistratura. Si tratta di un atteggiamento potenzialmente diabolico, sintomo che nell’epidermide della maggioranza degli italiani è stato iniettato un virus letale (e nell’evolversi di tale malattia alto è il contributo del berlusconismo): quello cioè, che porta i più ad avere l’immagine di una giustizia che agisce e colpisce secondo i gusti, per antipatie e non perché invece vi ravvisi un’ipotesi di reato. La giustizia ha sbagliato e continuerà a farlo, ma quello che bisogna fare è vigilare affinché certi errori non si ripetano, piuttosto che iniziare a pensare che non ci siano più criminali in giro.
E’ un po’ quello che fanno sempre più spesso, purtroppo, i genitori di quei bambini che vengono bocciati a scuola: danno la colpa ai professori, si rivolgono addirittura al Tar affinché il loro pargolo non ripeta l’anno. Magari una volta, due, sarà pure colpa del maestro o del professore di turno, ma nella maggior parte dei casi, non sarà meglio concentrarsi sulle responsabilità del figlio? E’difficile ammettere gli errori di chi si ama, di quelli in cui abbiamo riposto sogni e speranze, e però, se una società vuol migliorare, deve guardare in faccia la realtà e non costruirsene una fittizia, altrimenti quando quella vera presenterà il conto, travolgerà tutto e sarà troppo tardi per accorgersi degli errori commessi.
E quindi, tornando al calcio-scommesse: benvenute intercettazioni, che Dio (anzi che Monti, per ora tocca a lui) vi protegga!!!
Andrea Salvini
Redazione Sportiva