Probabilmente il tricolore sarà, come pronosticano tutti, un affare a due tra il favoritissimo Milan campione in carica e la ritrovata, arrembante Juventus di quell’Antonio Conte che sembra aver fatto capire ai suoi uomini cosa significhi giocare ogni partita come se fosse una finale senza ritorno.
Però il campionato, quando mancano un paio di giornate alla sosta invernale, dice che nei quartieri alti della classifica c’è ancora un discreto affollamento, con i bianconeri di Torino che sono stati appaiati in vetta dai bianconeri di Udine, trascinati dal solito inarrestabile Totò Di Natale.
A due lunghezze ci sono i rossoneri, reduci dallo stop di Bologna, e la Lazio, che ha sconfitto il nuovo Lecce di Serse Cosmi grazie ad una prestazione monstre di quel fenomeno di Klose, autore di una doppietta ed un assist. Sono queste le quattro squadre rimaste a contendersi lo scudetto; il Napoli, -9 dal tandem di testa, – 7 dalle più immediate inseguitrici, è già troppo lontano: è vero che Maggio (il mese, non il calciatore) non è dietro l’angolo, ma la squadra di Mazzarri non mi sembra avere la forza per reinserirsi nella corsa per il titolo.
Del Milan e della Juve come favorite si è già detto, lo scrivono tutti, sarebbe ridicolo affermare il contrario: la squadra di Allegri non ha rivali in quanto a tasso tecnico e ampiezza della rosa, quella di Conte è finora imbattuta, e a parte Napoli (dove peraltro ha compiuto una prodigiosa rimonta) ha vinto tutti gli scontri diretti (uno solo in casa, con il Milan).
Però, attenzione alla Lazio. Questo monito non è un tentativo di evadere a tutti i costi dallo scontato; in passato, sottolineando le straordinaria gesta dell’Udinese, che si stanno prolungando (fortunatamente, per i suoi tifosi e per gli amanti del calcio), avevo osservato che designarla come una seria candidata per il tricolore sarebbe stato affascinante ma poco realistico, visto che quando manca Di Natale non ha sostituti in grado di assicurargli la stessa competitività. E’ una squadra che, come ha detto Guidolin dopo la sconfitta di Parma, o gira a mille all’ora in tutti i suoi uomini o diventa vulnerabile come molte altre: il fattore corsa è centrale nelle vittorie dei friulani, ed è difficile immaginare che la condizioni resti più o meno la stessa, soprattutto se a giocare sono quasi sempre i soliti.
La Lazio invece è una candidata credibile. Si tratta di una compagine che da quasi un mese sta facendo a meno del suo leader difensivo, Dias; che è priva da tempo ancora maggiore di Mauri, l’uomo di maggior qualità a centrocampo insieme ad Hernanes; che nelle ultime giornate aveva saputo fare a meno anche di Biava, rientrato da poco; che ha Brocchi e Matuzalem ai box (sebbene il primo veda avvicinarsi la data del suo ritorno); che non ha ancora potuto contare sui gol di Cissé, ma prima o poi il francese si sbloccherà, perché indubbie sono le qualità di questo attaccante.
Eppure, in mezzo a defezioni di ogni tipo, i biancocelesti, quando con Lulic, quando con Cana, molto più spesso con la classe del devastante Klose, hanno saputo restare agganciati al treno scudetto, e lo hanno fatto a fari spenti, cosa che non guasta. Adesso su Formello si è abbattuta pure la tegola Marchetti, che starà fuori per un mese e mezzo a causa dell’infortunio muscolare rimediato sabato in Salento: se Carrizo si rivelerà all’altezza del compito cui è chiamato, e se Milan e Juventus continueranno a marciar forte ma senza fuggire, allo sprint finale arriveranno anche i biancocelesti, e a parità di trattamento del Palazzo, non è da escludere che i ragazzi di Reja possano fare il miracolo. La Lazio vince anche quando gioca male: è una qualità delle grandi.
Andrea Salvini
Redazione Sportiva