Il fattore “testa”

Spesso si sente dire che nel calcio conta di più la testa delle gambe. E’ vero se ci riferiamo al fatto che, quando i valori tecnici sono simili, sono le motivazioni a fare la differenza tra vittoria e sconfitta. E’vero se pensiamo a tantissimi calciatori dal bagaglio tecnico modesto e che però, grazie alla loro dedizione totale a questo sport, al loro spirito di abnegazione sul campo, sono riusciti a raggiungere categorie a prima vista impensabili per i loro mezzi. E’ altrettanto vero però che ci sono stati e ci sono moltissimi altri giocatori di calcio che devono la loro fortuna esclusivamente al talento di gamba che il buon Dio ha donato loro.

Se quindi è difficile stabilire quale sia la componente decisiva per diventare professionisti di livello nel settore (molti di quelli che rispondono senza dubbio alcuno la testa, sono poi i primi a difendere i ripetuti comportamenti del Balotelli di turno in nome della sua classe), perché poi dipende sempre dalle situazioni, è innegabile però che la testa diventi indispensabile quando si sta nello sport non da attori principali, quando cioè, non partecipando agonisticamente alla competizione, non serve a niente avere delle buone gambe, ma conta avere “sale in zucca”. Mi riferisco ad allenatori, dirigenti, presidenti, ovvero a coloro i quali delegano le loro chance di successo solo e soltanto alla testa, perché è l’unica parte del corpo attraverso il quale possono trarre vantaggi reali sulla concorrenza.

Ecco che in questa circostanza, non avere testa rappresenta un problema, perché chi non ne dispone è privato dell’unico strumento che può utilizzare per competere. Il problema si ingigantisce se si riflette sul fatto che questi attori non protagonisti occupano negli organigrammi societari gradi gerarchici superiori rispetto agli attori protagonisti ed hanno, o dovrebbero avere, funzioni di guida e di indirizzo su di essi.

Man mano che si sale di categoria, la componente societaria diventa sempre più determinante come fattore di vittoria. Una società incapace di progettare, di scegliere gli uomini giusti al posto giusto al momento giusto, di capire i perché di un trionfo e quelli di una debacle è una società sana, destinata a restare all’asciutto di titoli per poco tempo; una società che invece, con spocchia, si bea della sua gloria effimera non capendo quando è il momento di ricostruire, quando quello di chiudere col passato, e non si mette mai seriamente in discussione, è una società che può sperare soltanto nella buona sorte, che però, ammesso che vi sia, produce effetti molto meno duraturi della competenza e della lungimiranza.

Non volevo far fischiare le orecchie a Massimo Moratti, anche perché dubito che pur leggendo queste righe si senta chiamato in causa; non volevo far fischiare neanche quelle di Sinisa Mihajlovic e di qualche dirigente della Fiorentina che per un anno e mezzo hanno sostanzialmente permesso che alcuni giocatori scambiassero la squadra gigliata per un accogliente luna-park; non volevo far fischiare nemmeno le orecchie degli ex-dirigenti bianconeri Alessio Secco e Jean-Claude Blanc.

In realtà, quello che volevo, era regalare un pensiero a Rafael Benitez, che aveva capito tutto con un anno d’anticipo, a Delio Rossi, che ha capito tutto dopo appena due settimane, ad Antonio Conte, che pure non brillerà per simpatia, ma che ha capito in fretta da dove ripartire, ed infatti, guardate un po’ il caso e il gioco di parole, si ritrova…in TESTA!!!

 

Andrea Salvini

Redazione Sportiva

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