Tra ieri e oggi c’è stata una gara tra le fonti giornalistiche nel seguire la cronaca dell’ultimo atto del berlusconismo politico. Ma, come accade spesso in questi casi, c’è stato anche il desiderio di tracciare delle somme, un bilancio di ben 17 anni di egemonia, non solo parlamentare, ma anche culturale da parte dell’estetica berlusconiana. Forse è un po’ troppo presto per fare un salto con sobrietà dalla cronaca al giudizio storico su questo “piccolo Ventennio”. La deformazione dei giudizi è però avvertibile sin da adesso. Il bersaglio, come è ovvio, è la fase di tardo-impero che ha assunto negli ultimi due anni il regime di Silvio Berlusconi, in cui i toni del populismo procedevano spediti verso l’esasperazione, così come intorno alla sua persona si era creata una piccola galassia di ruffiani e cortigiani che, in ultima analisi, è riuscita a condizionare il suo operato, a metterlo sotto ricatto, a denunciarne la sua solitudine.
Alle volte ci si spinge indietro, sino a quel gennaio del 1994, quando l’imprenditore Berlusconi annunciava la sua discesa in campo, con un messaggio agli italiani che somigliava tanto a una televendita. Il sogno promesso sin da allora non c’è mai stato: da buon piazzista ha venduto un prodotto inesistente. Esiste però un altro dato, che la storia dovrà poi giudicare, ovvero che gli italiani non hanno esercitato il diritto di recesso. Gli italiani ci hanno creduto, sino alla fine, salvo poi voltargli la faccia quando le cose si sono messe male. Ora dirsi “berlusconiano” in pubblico significa diventare oggetto di disprezzo, ma sino a un anno fa era motivo di vanto. Basta un dato a rendere ancora più visibile su come il berlusconismo abbia ricevuto la benedizione e la complicità di gran parte degli italiani: per spodestarlo non sono bastati gli strumenti democratici, come la dialettica maggioranza-opposizione, ma c’è voluta un’ingerenza straniera. Di colpo ci siamo trovati come in una “signoria fuori stagione”, scardinata solo da una serie sfortunata di contingenze. Questo non toglie che la storia di Berlusconi è, e sarà ancora, la biografia degli italiani.
C’è, infatti, una pesantissima responsabilità che grava sopra l’elettorato, ancora più che sugli eletti. Possiamo discettare quanto vogliamo sulla legge elettorale, sul bipolarismo, sulla crisi di credibilità delle istituzioni, ma ancora una volta il regime del Cavaliere, populista e pseudo-liberale, è stato ripetutamente sostenuto da elezioni e da intellettuali, ed è stato combattuto sullo stesso campo, ovvero ricorrendo al populismo dei vari movimenti cinque stelle, dei popoli viola, dei dipietristi e dei vendoliani. Persino i nemici giurati del Cavaliere, in qualche modo, sono stati influenzati dalla stessa “estetica”, come degli anticorpi che diventano i catalizzatori stessi della malattia. L’Italia è diventata un’immensa tribuna di stadio, in cui l’una e l’altra parte si affrontano, richiamandosi entrambi alla “gente”, al “popolo”, alla “società civile” che dovrebbe rappresentare (secondo loro) la parte buona del Paese, mentre i politicanti rappresentano una casta parassitaria.
Le scene dei festeggiamenti sotto il Quirinale rappresentano l’immagine visibile di come l’opinione pubblica in Italia ormai si è assuefatta a questo clima da stadio, e in questa effervescenza spontanea non c’è più la lucidità per capire dove veramente stiamo andando. L’illusione del berlusconismo (o dell’antiberlusconismo) si gioca tutta qui, che sia di fatto una sola persona a fare la grazia o la disgrazia di uno Stato, e quindi – tolto di mezzo il protagonista – tutto tornerà normale nel giro di poco tempo. Purtroppo, però, certi schemi mentali si sono consolidati per quasi una generazione, ed estirparli sarà una delle operazioni più difficili per gli italiani. Bisognerà estirpare l’idea che una barzelletta possa rendere accattivanti idee e pratiche intollerabili. Sarà questo atto di spurgo culturale che potrà finalmente dare agli elettori, ancora prima che alle istituzioni, credibilità e rispetto, anche su scala internazionale.
L’intera vicenda del “piccolo Ventennio” ha, peraltro, dimostrato l’inefficacia della democrazia. Non è più sistema imperfetto ma perfettibile, bensì un sistema imperfetto e imperfettibile. Andrebbe studiato un altro modo per conferire ai cittadini il diritto di voto attivo e passivo. Probabilmente è la più grande riforma di cui avrebbe ora bisogno l’Italia, ancora più dei pareggi di bilancio. Una proposta utile potrebbe essere che il diritto di voto sia appannaggio di persone che abbiano una robusta conoscenza delle istituzioni e della Costituzione e che abbiano una fedina penale pulita. Il diritto di voto concesso a telespettatori che conoscono a menadito le vicende del Grande Fratello e manifestano indifferenza e ignoranza nei confronti del dibattito politico è come concedere una patente a un diciottenne, alcolista recidivo, sperando che la sua età anagrafica sia il punto discriminante tra l’incoscienza e la coscienza. Voi affidereste una macchina, che sia un’utilitaria o che sia una fuori-serie, a un ubriaco?
Che la democrazia sia un sistema da riformare da capo a piedi certamente non giustifica il fatto che, in emergenza, venga affidato a un consulente della Goldman Sachs il mandato per formare un “governo della domenica”. Questo risponde a quel vecchio adagio tutto interno alla politica politicante, ovvero “squadra che perde non si cambia”. Cioè, se un “tecnico” è legato mani e piedi a realtà che sono responsabili del disastro economico in cui ci troviamo, per premiarlo gli si affida un governo, perché investito di una non ben definita “stima internazionale”. Quale stima? Quella delle banche ovviamente. Allora è legittimo chiedersi: cosa impedirà al mercato finanziario di influenzare anche i prossimi governi? Basterà un attacco speculativo ai titoli di stato o alle materie prime per far precipitare nuovamente la democrazia nel caos. Badate bene, queste non sono teorie complottiste, basta leggere un articolo di MilanoFinanza di qualche giorno fa per capire che dietro l’ondata di vendite dei Btp italiani ci stava proprio Goldman Sachs. Come dovremmo interpretare questo dato? La crisi di credibilità della politica sta chiudendo gli occhi di troppi arbitri, Napolitano in primis, e nel paese dei ciechi chi ha un occhio diventa re. Il problema è che questo occhio aperto ce l’ha solo la finanza, che è come un Ciclope che fa macelleria sociale. Sta a noi aprire gli occhi per accecare il gigante, e uscire finalmente da questa caverna buia.
Giuseppe F. Pagano