Dopo ben 17 anni di protagonismo politico il Cavaliere meneghino pare che si arrenda. Conoscendo la tenacia con cui è riuscito sempre a farla franca in questi anni, attraversando indenne tutti i peggiori scenari possibili – scissioni, mozioni di sfiducia, scandali sessuali e processi – neanche sembra vero. Sceso in campo all’alba della Seconda Repubblica, ne rappresenta anche il suo crepuscolo. O peggio ancora, potrebbe rappresentare l’ultimo atto di una Repubblica, libera e sovrana.
La gran parte degli italiani ieri sera non credeva alla notizia, o meglio, non sapeva se festeggiare o preoccuparsi per le dimissioni in “slow motion” di Berlusconi, annunciate subito dopo la sua discesa dal Quirinale. In effetti la preoccupazione era lecita, conoscendo il personaggio era facile che un accordo del genere potesse rivelarsi l’ennesima trappola. Ma al di là dell’opinione del cittadino semplice, è stata ingenua la scelta del Quirinale di proporre come compromesso una crisi di governo in “differita”, con l’obiettivo di dare una qualche certezza che tranquillizzasse gli scambi.
Non è stato difficile prevedere come i mercati avrebbero reagito di fronte alle drammatiche incognite italiane. L’amara conclusione di questa giornata è stata la caduta del -3,78% della Ftse Mib, il tetto dello spread che sfonda la soglia dei 550 punti, ed effetto domino su tutte le piazze affari europee. Che l’attesa sino al voto del maxi-emendamento alla legge di stabilità fosse un lusso che non ci può permettere era un’evidenza già nota ieri sera, perché ogni giorno in più in queste condizioni costa al cittadino in media 200 euro in più all’anno, ma che la razionalità finanziaria non corrispondesse alla razionalità politica è noto da tempi ancora più lontani.
Già da stamani si sprecavano i pronostici sul “post-Berlusconi”, ovvero la nomina di un governo tecnico, oppure le elezioni subito. Nel frattempo si consumava l’ennesima vendita in blocco di titoli italiani da parte degli investitori. Tutte le opposizioni hanno promesso di far passare il maxi-emendamento senza fare alcun tipo di ostruzionismo, per rispondere ai richiami di Napolitano alla coesione e alla responsabilità. Peccato che in mezzo al quel pastrocchio si potrebbe nascondere di tutto, dalle personalissime norme per la successione (volute da Berlusconi per garantire i figli di primo letto), ai condoni (fiscali o edilizi) sino all’abrogazione dell’articolo 18. Il testo definitivo di questo maxi-emendamento è ancora ignoto. E siccome i mali non vengono mai da soli, in settimana inizia ufficialmente il commissariamento dell’Italia da parte della BCE, che ieri ha lasciato intendere esplicitamente che l’ultima manovra è insufficiente, e prevede misure addizionali per raggiungere il pareggio di bilancio del 2013. Non è difficile capire come: tagli a colpi di accetta su welfare e previdenza sociale.
Si dice che la soluzione che rassicurerebbe maggiormente i mercati è quella di un governo tecnico, guidato da una figura super partes, in grado di portare avanti rapidamente le riforme – anche impopolari – necessarie per rimettere l’Italia in carreggiata. Ma di per sé un governo tecnico è l’ammissione di un default politico. Ovvero l’intera classe politica italiana, di tutto l’emiciclo parlamentare, non è in grado di traghettare il Paese lontano da questa china. Pertanto a un Mario Monti si concede volentieri tutto l’onere ragioneristico di spremere tutti i limoni nella cassetta, dietro la scorta di BCE e del Fondo Monetario. A questo punto si consumerebbe l’ennesima beffa durante la campagna elettorale: nessun partito ammetterà di aver preso scelte impopolari, tutti si diranno difensori delle tasche del cittadino.
Dall’altro lato non è possibile andare ad elezioni subito, una campagna elettorale adesso non è più necessaria di un gelato dato in pasto ad un assiderato. Tra l’altro, l’attuale legge elettorale riconsegnerebbe il Paese all’ennesima masnada di “nominati”, utili solo ai partiti come il Pdl e la Lega per fare le loro purghe interne (o a Di Pietro, che evidentemente ancora non ha appreso niente dall’affair Scillipoti), ma non certamente agli elettori che stanno assistendo impotenti al collasso delle istituzioni. Inoltre, il centro-sinistra, così come è configurato, rischia di vincere le elezioni, senza saper/poter però governare il Paese in una situazione così convulsa. Non sappiamo ancora quanto l’attuale opposizione sappia proporre in tempi brevi un candidato premier, una coalizione chiara, e soprattutto quali programmi. In questi mesi, infatti, il progressivo deterioramento della maggioranza, li ha trovati impreparati, e oggi la situazione non è molto differente.
Non è da escludere che ci aspetta uno dei finali di anno più terribili che abbiamo mai visto, con il terrore che un governo qualunque, sia esso tecnico o politico, possa arrivare al prelievo forzoso dei conti correnti, a decurtare gli stipendi degli statali, a inventare nuove tasse per far cassa, a benedire i licenziamenti facili. A questo punto, non sarà più lo spread a dichiarare che non siamo un Paese credibile, quanto il fatto che ci troveremo in buon numero con il cappello in mano nelle piazze o nelle mense della Caritas. E se lo scenario fosse davvero questo, è meglio ritirare per tempo i propri risparmi in banca, e scappare senza guardarsi indietro.
Giuseppe F. Pagano