Per partecipare al Metarock ho compiuto un viaggio. Generalmente risiedo nella stessa città del festival e quindi, più che un viaggio, mi occorre una passeggiata per arrivare alla Cittadella di Pisa. Invece stavolta sono partito da Siena, con tanto di possibile tentazione di ammutinamento in favore di una spedizione ad Acquapendente per il concerto di Tricky (gratuito!). E invece ho resistito alla tentazione del trip-hop per un viaggio al centro del rock.
La data che mi aspettava a Pisa portava dietro di sé grandi aspettative già dai primi giorni del Metarock. In prima linea c’erano i Verdena, il trio bergamasco che sta mietendo successi di pubblico e consensi di critica dopo l’uscita del doppio album WOW.
Oltre agli headlinear le sorprese più interessanti per il panorama locale si trovavano nel piccolo palco allestito nella Cittadella, dove si sono alternate ben cinque band di ottima qualità.
La maratona musicale si è svolta non senza una certa difficoltà per noi della “stampa”. Era assolutamente vietato oltrepassare le transenne per accedere all’area backstage, così da poter intervistare con tutta calma gli artisti. Così ci siamo dovuti inventare mille modi per acciuffare qualche musicista e conoscere meglio le band che si sono esibite. Ovviamente questo “sistema” di cose è piuttosto ridicolo, in pratica per “oltrepassare il fronte” avremmo dovuto chiamare telefonicamente l’ufficio stampa – fisicamente assente – per farci mettere in contatto, magari sempre telefonicamente, con le band che erano a pochi metri da noi. La sagra dell’idiozia. Di fronte a tutto questo non può che piombare impietosamente il nostro sdegno, soprattutto quando abbiamo notato che gli accreditati “foto” sconfinavano allegramente nel backstage. Per un attimo mi ero pentito del mio rientro da Siena, tuttavia il suono dei primi gruppi mi ha fatto desistere dal trarre amari rimorsi.
Senza farci prendere troppo da questi problemi del mestiere, riesco ad ascoltare con un po’ di attenzione i Disowned, formazione di Pontedera, di cui anche l’ufficio stampa ha sbagliato il nome, e di cui a ruota hanno sbagliato tutti gli altri quotidiani locali. Per fortuna siamo stati i primi ad accorgerci dell’errore, così speriamo di dare una degna presentazione a questa band dal suono decisamente electro-rock. Il cantato, in inglese, può ricordare vagamente Samuel dei Subsonica. La presenza di un sinth dà sostegno a questa inferenza musicale. Ciò che ci ha sorpreso poi, nell’intervista che abbiamo raccolto, è che la loro “storia” viene da tutt’altro genere.
Poco dopo è l’ora di fare i conti con “La misere de la philosophie” da Piombino. Nel corso della mezz’ora che li ha visti sul palco mi sono ricreduto sul mio genetico pregiudizio verso l’uso – spesso grottesco – dell’italiano adottato da fighetti indie-rock dalle letture confuse e stereotipate. Questi non sono nè fighetti nè confusi, hanno le idee piuttosto chiare a livello di coerenza stilistica. Il nome del gruppo è già sufficente a rendermeli simpatici. Inoltre i loro testi denotano letture ben metabolizzate di poesia simbolista e vaghe sensazioni di punk più neomarxista che filosovietico. Li raggiungo immediatamente dopo il concerto per intervistarli.
Poi arriviamo in tempo per ascoltare i We don’t Like Us che se la cavano discretamente con una cover del tema di Mission Impossible II, cioè la versione realizzata dai Limp Bizkit. Questa band viene dal fiorentino, e riesce ad accendere il pubblico con un bel rock’n’roll. L’esibizione vola in un lampo e già sul palco c’è modo di ascoltare i Venkmans, sempre fiorentini, già vincitori delle selezioni dell’Italia Wave per la Toscana. I Venkmans fanno il panico con il loro indie targato UK: sono il compendio di quanto di buono si è affermato oltre-Manica tra Franz Ferdinand, Kaiser Chiefs, Editors e Kooks. Firenze, si sa, tra le città toscane è quella più esposta alle tendenze più british, e queste realtà al Metarock hanno una presa piuttosto carismatica. Andiamo così a cercare i Venkmans per fare due chiacchiere sui loro progetti futuri.
Mentre architettiamo un modo per entrare nei backstage facciamo in tempo ad ascoltare i Rhumornero, orgoglio del rock noir made in Pisa. La loro firma è una forza onnivora, musicalmente parlando… c’è dentro la storia di ogni singolo componente, esperienze di lungo corso. C’è l’attrito del grunge e il sapone della melodia. La scelta di cantare in italiano sicuramente conferisce maggiore espressività a dei pezzi che ci raccontano storie di disillusione, di riso amaro. Tra una settimana uscirà il loro nuovo album “Il cimitero dei semplici” con 11 inediti. Dopo il concerto abbiamo intercettato uno dei componenti per realizzare un’intervista davvero divertente.
Quando terminiamo l’intervista si sente a poca distanza l’ingresso dei Verdena. Il boato è un’onda sull’epidermide. I Verdena mettono subito le cose in chiaro con i primi pezzi, con una presenza scenica potente e soprattutto trascinante per il pubblico. Ripetono dal vivo l’estremo ecclettismo che caratterizza WOW, ovvero un universo popolato da atmosfere sature di distorsioni, feedback ed effetti larsenn, evocazione e stoner spalla a spalla. Presentano tantissimi pezzi dal loro ultimo disco come Loniterp, Lui gareggia, Scegli me… Ma c’è tempo anche per dei momenti tratti da Requiem come Don Calisto e Muori Delay, ed infine anche “vecchi classici”: una su tutte Valvonauta.
La mia posizione decentrata e un po’ sopraelevata rispetto al grosso del pubblico (la location della Cittadella è assai particolare nella conformazione del terreno) mi permette di girare in tranquillità qualche video, scattare qualche mediocre foto, ma soprattutto guardare a colpo d’occhio tutto il pubblico. Non c’è un solo istante in cui il pubblico non si muova all’unisono, vi sono gradi diversi di partecipazione a seconda del pezzo. Si va quindi dalla poga energica sotto palco ai momenti in cui si tendono le braccia alzate come grano toccato dal vento. Un concerto dei Verdena è sempre un grande spettacolo di coralità. Quando il concerto termina, il pubblico richiama i quattro sul palco… si fanno attendere un po’. Io intanto per farmi un po’ odiare grido “viva gli Afterhours”. Forse il grido si è sentito sin dietro il palco, ed che i nostri ritornano sul palco per proporre altri tre pezzi, tra cui Lei disse, così si conclude l’esibizione così come si chiude il disco.
Anche se noi radioboys siamo piuttosto appagati per lo spettacolo, tentiamo comunque la sorte d’incontrare i fratelli Ferrari alle transenne. Ma non c’è niente da fare, passa mezz’ora, entrano dentro il backstage un po’ tutti, pure i pazzi di Piazza delle Vettovaglie, e noi siamo sempre al confino. Allora recuperiamo un po’ d’orgoglio. Mandiamo a cagare la security canticchiando “Trovami un modo semplice per uscirne”. E alla fine ne siamo usciti vivi.
Giuseppe F. Pagano