Diamo per scontato che Marco Travaglio non è un comico.
Una facile osservazione, penserete, ma direi necessaria se hai fatto parte del pubblico di “Anestesia totale”, lo spettacolo andato in scena sul palco del Metarock Festival il 7 Settembre. La squadra di RadioEco era presente tra gli spettatori, e se per pochi attimi facevi caso alle reazioni del pubblico invece che alle parole dei monologhi di Marco Travaglio si poteva scorgere quale fosse reazione più frequente di chi stava in platea: la risata. Risata divertita? Credo che l’unico caso di risata divertita da parte del pubblico c’è stato mentre Isabella Ferrari recitava, accompagnata da un violino malinconico, le poesie di Sandro Bondi. Perché quelle possono solo farti ridere. Le risate che hanno accompagnato gli inverosimili titoli del TG1 (dalla morte della scimmia fumatrice a come rendere la popò dei bambini profumata) hanno quel retrogusto di amarezza mista alla consapevolezza che ormai le cose stanno e vanno avanti così.
Gli affari e i reati messi in piazza dai potenti e la perenne contraddizione vivente espressa dal Presidente del Consiglio sono ormai quel qualcosa di lacerante e inconsapevolmente assimilato. Marco Travaglio questo lo sa, e seduto su un palcoscenico, tu giornalista, ti poni come se fossi davvero seduto su una panchina di fronte al chiosco del giornalaio, così come mostrava la scenografia dello spettacolo. Leggi le notizie del giornale che hai appena comprato e le commenti con chi hai davanti, e il monologo di Marco Travaglio di fronte a quello che dovrebbe essere lo specchio della realtà, cioè la notizia e la ricerca della verità, finisce nel lasciarti quell’eco nel cervello che sussurra: ma ti rendi conto? E’ lo stesso effetto che lasciano le parole di Indro Montanelli nei suoi editoriali letti da Isabella Ferrari. Un sottile metodo, quello di Marco Travaglio nel ricordare il suo maestro, di farci capire che lui aveva già detto tutto rimanendo inascoltato. Fare il giornalista significa esserlo per il pubblico, significa non obbedire ad un padrone. Quel “finalmente” che riecheggia nell’editoriale scritto il giorno dopo le prime dimissioni di Berlusconi alla fine del suo primo governo è un “finalmente” lasciato sospeso per aria, disilluso. Una liberazione che non c’è mai stata.
Durante lo spettacolo il linguaggio di Marco Travaglio nei suoi monologhi è quello cinico e spietato che conosciamo tutti, a tratti parecchio diretto. Un po’ di chiare ispirazioni sono palesi, dallo storpiare i nomi tipico di Grillo (Minzolini/Minzolingua, Sallusti/Zia Tibia) e il finale di battute attraverso domande retoriche, tipiche di Luttazzi. Isabella Ferrari incorporava la presenza scenica, un’attrice di cui tutti riconosciamo la voce mantiene l’attenzione di chi ascolta. Qualche sbavatura in alcune letture, probabilmente sarebbe stato meglio affiancarle un altro attore o attrice per una performance che dura più di due ore e mezza. Il tutto accompagnato da Valentino Corvino, nascosto nel chiosco del finto giornalaio tra il violino e gli effetti suonati dal vivo. Marco Travaglio è un giornalista che vuole lavorare per un pubblico, ed è questo che vuole farci capire anche attraverso le parole di Indro Montanelli. E credo che questo spieghi l’esistenza e l’esigenza di “ Anestesia totale”. Oggi più che mai c’è bisogno di parlare alle persone.
Non tutti i giornalisti sono in grado di farlo.
Maurizio “Orsorosso” Amendola