Un legittimo movimento

Dal 1995 in poi lo strumento del referendum sembrava che fosse destinato a diventare un vecchio mobile da soffitta, uno strumento che non riusciva ad essere più efficace perché una schiera sempre più nutrita di astenuti faceva saltare il quorum ad ogni appuntamento. Ne abbiamo saltati ben 24.

Questa tornata referendaria troverà invece un suo spazio nella storia recente della politica italiana, per il dato incontestabile di una risvegliata partecipazione popolare. Con i massicci dati di partecipazione che abbiamo appreso dalle percentuali di affluenza ai seggi, possiamo dire che innanzitutto è stato preservato un prezioso strumento di democrazia partecipativa. Uno strumento che nel bene e nel male ha fatto la storia di questo Paese, dalla scelta tra repubblica e monarchia, sino a quello sul divorzio per poi arrivare al referendum sulla preferenza unica che ha dato il via alla “seconda repubblica”. Uno strumento che, seppur caricato di valenze politiche, ha avvicinato in quest’ultima tornata la gente alle istituzioni.

E’ inutile tentare di nascondere la verità, molti sì, erano “politici”. Tra i quattro quesiti, quello sul legittimo impedimento era un voto sulle “leggi ad personam”. Il sì all’abrogazione di questo ennesimo escamotage giudiziario dà la cifra di una popolazione insofferente verso l’eccezionalismo legale di cui si è coperto in questi anni la figura del Premier. Gli altri tre quesiti bocciano altrettanto la linea di maggioranza che, in tema di nucleare e gestione privata delle risorse idriche, aveva già ampiamente detto la sua, ricorrendo a tutti gli strumenti possibili per far saltare il referendum.

I quesiti referandari tra l’altro seguono un trend d’intensa partecipazione già emerso per le amministrative, e non sarebbe paradossale dire in questa sede che, forse, il vero “traino lungo” per il referendum non è stato Fukushima, quanto la mobilitazione per il rinnovo delle amministrazioni municipali. Un altro dato salta all’occhio, l’onda d’astenuti alle elezioni provinciali (55%) è diventata un’onda di votanti (il 54%) sui 4 referendum. Forse perchè i temi proposti erano concreti, vicini alla gente, immediatamente percebili, mentre il Palazzo rimane lontano, astratto. La lezione delle amministrative infatti ha premiato non tanto gli uomini d’apparato, quanto gli indipendenti, gli “homines novi” espressi dal basso, Pisapia e De Magistris per fare un esempio.

Dunque possiamo affermare che emergono due dati interessanti da questo appuntamento referendario: il primo è che il Paese e la maggioranza seguono due strade diverse, la maggioranza politica non è più quella del “paese reale”. Secondariamente, vincono i temi concreti, contro la “politica deteriore”, quella degenerazione rappresentata dai personalismi, dalle scelte di delfini politici, poltrone di sottosegretari, e altro ancora.

E’ stato un grosso errore per il governo invitare i cittadini, anche attraverso i media, ad andare al mare. Anche Craxi fece vent’anni fa lo stesso errore e lo pagò molto caro. Dall’altro lato anche il PD sconta molta ambiguità nel voler salire ora sul carro dei vincitori, quando in tempi non sospetti non avanzava alcuna critica alla gestione privata dell’acqua, oppure plaudiva all’arrivo di centrali nucleari di quarta generazione. Così come pare fuori luogo strumentalizzare il voto referendario per chiedere le dimissioni della maggioranza. Fare questo significare mettere un cappello di partito a una mobilitazione che si è espressa fuori dai classici recinti delle sigle politiche.

Quali saranno conseguenze politiche adesso? Innanzitutto è confermata la fase declinante del berlusconismo. Nei prossimi giorni la maggioranza dovrà vedersela con una riforma fiscale su cui non c’è una linea condivisa, e soprattutto non c’è denaro in cassa per permettere un abbassamento delle tasse. Farà bene Tremonti a tenere stretta la borsa? Di sicuro oggi Maroni si è detto pronto a sostenere scelte impopolari. Ma sarà dello stesso avviso anche Berlusconi, ormai in piena crisi di legittimazione popolare?

Il passaggio decisivo è quello che vuole fare la Lega. Da una parte c’è la linea di Bossi, che non vuole rompere l’asse con Berlusconi, ma dall’altra ci sono inquietudini della base, rappresentate in parte da Maroni, ma anche da Zaia, Tosi, e altre personalità più legate alle amministrazioni del territorio, che cominciano a essere insofferenti dell’alleanza perdente con il Cavaliere. Poi ci sono le anime critiche del PDL, come la costola romana di Alemanno e Polverini, che rappresentano quella quota di maggioranza che non ha disertato le urne referendarie. Senza dubbio nel PDL negli ultimi mesi prevale un personalismo diffuso tra i vari luogotenenti, che anticipa il tramonto del leader. Poi non è escluso che motivi di crisi della tenuta della maggioranza arrivino dai cosiddetti “responsabili”.

Nel campo dell’opposizione occorre che il PD faccia una scelta chiara tra alleanze con il Centro/terzo polo, oppure leghi con l’IDV e SEL, ovvero la “pars costruens” del referendum.

L’ultima riflessione che è emersa da questo referendum è che sono cambiati i giochi in termini di comunicazione e mobilitazione politica. La rivoluzione “democrazia 2.0” di Facebook e Twitter ha trovato una sua faccia rintracciabile anche in Italia. La mobilitazione si è mossa soprattutto sui social network per colmare l’incredibile vuoto della comunicazione istituzionale delle reti tv private e pubbliche. Dai video ironici sino agli inviti a votare diffusi tramite bacheche, pagine fan e quant’altro, la mobilitazione si è fatta sempre più orizzontale, personale, seguendo anche in questo caso un orientamento già emerso con le campagne elettorali delle amministrative. Creatività, dunque, e ironia alla base di una vittoria culturale, prima ancora che politica.

Giuseppe F. Pagano

per la Redazione News di Radioeco.it

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