On the Road Interview – Vandemars + Tiromancino

 

Pisa non ci basta più, così Radioeco va “On the road” in provincia di Siena mandando il sottoscritto, uno degli speaker più inaffidabili, quanto a senso dell’orientamento almeno. Infatti trovare il Sonar a Colle Valdelsa è un problema non da poco. Fortunatamente arriviamo per le 22.30, grazie anche all’aiuto di Gabriella e Giulia, due amiche fiorentine che mi scarrozzano per strade a me ignote e frazioni dalla toponomastica improbabile. Entro dentro il locale, mi sento un po’ spaesato, ma scorgo quasi subito gli occhi sorridenti di Silvia Serrotti, voce dei Vandemars, formazione indie-rock senese.

Ci conoscevamo già io e i Vandemars, li avevo sentiti qualche giorno prima a San Quirico d’Orcia (SI) in un’interessante rassegna rock (e non solo) delle realtà musicali che si muovono tra Siena e l’Amiata. Mi erano piaciuti molto in quell’occasione, quindi risentirli al Sonar già mi sembrava un ottimo motivo per scappare da Pisa. Ora stanno aspettando di iniziare la loro performance che apre il concerto dei Tiromancino, in tour in questi mesi per promuovere il loro ultimo album “L’essenziale”.

Ti fa un po’strano all’inizio sapere che Zampaglione e soci suonino in un club, poi ripensi che l’ultimo disco è stato pubblicato da La Deriva, etichetta indipendente, e allora ti dici: “magari vogliono reinventarsi, con converse, skinny jeans e un po’ di shoegazing”. Ci sta, noi di RadioEco non siamo prevenuti come quelli del Mucchio Selvaggio. Aspettiamo quindi cosa hanno da dirci i Tiromancino.

Intanto però io parlo con Silvia dei suoi testi, lei non tradisce tensione per il suo opening act. Non c’è moltissima gente, atmosfera accogliente che mi ricorda alcuni club pisani, solo che qui la situazione è più spaziosa, e non ci sono pisani. Però si vedono le facce del pubblico dei Tiromancino. Li riconosci subito, sia per l’età, sia per i capelli perlopiù biondi (magari mi sbaglio, ma ho visto molte bionde), sia per quella strana espressione di appagamento con cui entrano dentro il Sonar. Intanto faccio l’in bocca al lupo ai Vandemars perché sono le undici e il concerto s’ha da fare. Pausa sigaretta. Vado immediatamente sottopalco per ascoltare con gusto la presentazione del loro disco “Blaze”, in una formazione un po’ insolita: voce, chitarra e basso. Generalmente il gruppo conta cinque elementi. La “disidratazione” dei pezzi verso l’opzione acustica è convincente, tengono bene il tempo e si possono apprezzare soluzioni innovative nell’arrangiamento rispetto alle versioni in studio. La voce della Serrotti è sinonimo di potenza, eleganza e precisione vocale, e nella dimensione del trio emerge in modo dominante. Sui primi tre pezzi doveva ancora prendere confidenza con lo spazio ridotto del palco, già occupato dalla strumentazione di Zampaglione, però in tempi rapidi la sua espressione corporea prende quota offrendo ai pezzi una sorta di testo sottotraccia che parla con il pubblico. Chitarra e basso danno una dimensione di sobrietà cupa e notturna ai pezzi. Tutto questo mi piace molto, infatti non mi allontano da quel sottopalco diventato ormai una stanza privata per un dialogo tra affinità elettive. Dura troppo poco però, mezz’oretta e qualcosa. Il pubblico ha apprezzato molto, lo vedevo dalle facce e dagli applausi.

Arriva un cambio palco in tempi assai rapidi, ed entrano i Tiromancino, che poco prima, durante l’esibizione dei Vandemars, erano nel camerino che immette sul palco, e di tanto in tanto si affacciavano per ascoltare. Zampaglione pare a proprio agio sul palco del Sonar, chiede “come state?” al pubblico (lo chiederà altre quattro volte durante il concerto), sorride. Attacca con “Mondo imperfetto”, un pezzo tratto dal suo ultimo album. Poi seguiranno altre canzoni sempre tratte da “L’essenziale”. Non c’è stato ancora il tempo di metabolizzarlo questo disco mi dico, anche i fan più accaniti annaspano nel cercare le parole. Così non è, invece, per il primo singolo estratto e titletrack del disco, che già da tempo circola in diffusione radiofonica e televisiva.

Arrivano finalmente i grandi successi: “Imparare dal vento”, “La descrizione di un attimo”, etc. Lì mi trovo in difficoltà, sono sotto palco, con accanto le grupies dei Tiromancino, se non canto mi sgamano subito, e penseranno che sono del Mucchio Selvaggio, rischiando io stesso di finire in un mucchio selvaggio. Quindi canticchio, mi guardo intorno, lancio sguardi di smarrimento. Cerco i Vandemars. Spariti. Va bene, mi faccio forza. Poi però arriva “Per me è importante”, le coppiette presenti (sono tante!) si stringono, e io mi sento lo sfigato della situazione.

Ma andiamo alle cose serie, gli arrangiamenti scelti per questa performance sono apprezzabili, ci sono degli episodi decisamente rock (per esempio “E’ necessario”). I Tiromancino li avevo visti altre due volte in situazioni più dispersive, come piazze, e avevano un piglio più chirurgico, distaccato direi. Le tastiere invece qui fanno il loro bel lavoro, rievocando echi vintage anni settanta e ottanta. Il leader carismatico è il batterista che si fa notare con le sue ampie gestualità, e non sgarra un colpo. Zampaglione accenna ogni tanto assoli che ricordano Santana per la timbrica e il fraseggio. Poi c’è il deejay, che è deputato alle proiezioni video e ai contributi elettronici e fa sentire la sua presenza quando serve. Il momento che ho più gradito è stato l’incipit di “Angoli di cielo”, in cui un tappeto sonoro parente di una discreta drum&bass ha fatto da preludio ad una canzone la cui vocazione elettronica era già presente nella versione in studio, ma in un club ha reso dieci volte di più. Nota dolente invece la versione reggae di “Nessuna certezza”, ma non perché avesse difetti in sé: è che al Sonar non m’aspettavo il reggae. Per i ritmi il levare caraibici ho bisogno di una preparazione psicologica a parte. Arriva anche il momento della cover, una bella scelta tra l’altro: “Rocket man” di Elton John, fatta “a modino”. Con “Due destini” si chiude l’esibizione dei Tiromancino. Il pubblico applaude parecchio, vedo facce soddisfatte, e alla fine anche io sottopalco non me la sono cavata male. Mi allontano quindi illeso dalle bionde, dalle coppiette e dalle studentesse di Siena.

Inizia il dj-set e cerco i Vandemars. Subito abbiamo un diverbio violentissimo sulla qualità dei testi dei Tiromancino. No, scherzo, in realtà parliamo d’altro e accenno due passi di danza sotto le note dei Cure. Poi sfrutto la mia enorme popolarità di giornalista rompiscatole per ottenere un’intervista con Zampaglione. Trovo parecchie belle ragazze in camerino, ma Zampaglione è seduto su un divanetto, stanco (a buon diritto, direi), non se le caga neppure (bravo Federico!). Aspetto il mio turno. Infine mi siedo anche io sul divanetto, e così snocciolo in fretta le mie domande. Parliamo del suo ultimo disco, delle piccole cose, dell’attuale congiuntura storica (disgraziata), ma anche di concerti nei club ed etichette indipendenti. Me l’avevano descritto sempre avaro come interlocutore, invece è stato assai disponibile.

 

Metto stop al registratore, lo ringrazio e lo saluto cordialmente. Esco fuori dal camerino, e ovviamente cerco i Vandemars, gruppo per cui – avrete capito – ho una simpatia innata, anche perché sguazziamo nella stessa comunità socio-musicale. Ci allontaniamo insieme dalla porta d’ingresso del Sonar, c’è troppo casino per fare un’intervista a modo. Cerco di capire come funziona il registratore, giusto per evitare di sovra-registrare sulla registrazione precedente. Scusate se non sono un nerd, anche se il ciuffo può trarre in inganno. Quindi inizia una piacevole chiacchierata con i tre Vandemars che ci hanno raccontato come sono nati, il loro ultimo disco, le loro influenze musicali, e non si sa il perché e il per come, ma siamo finiti a parlare di antropologi chitarristi.

 

Loro sono stanchi, devono rientrare nelle zone dell’Amiata, quindi decido di non martellarli con altre domande. Però io li voglio vedere a Pisa, non possiamo far suonare all’infinito quelle band livornesi con cui ti viene voglia di litigare dopo i primi due accordi trendy. Al contrario, i Vandemars sono una brusca tempesta magnetica che fa saltare le macchine, per ricordarti che il centro è l’umano, la sua dimensione artistica mutevole e multiforme.

Saluto i ragazzi, si prende la nostra Seicento, e ci perdiamo per l’ennesima volta tra le strade di Colle Valdelsa e Poggibonsi, e nell’autoradio non prende neppure Radioeco. Pisa è ancora lontana.

Giuseppe F. Pagano

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