La guerra, il risiko e il pacifismo padano

Cravatte verdi e bandiere arcobaleno? E’ l’abbinamento cromatico più trash di questi ultimi giorni di schermaglie politiche tra la Lega e Berlusconi. Ma veramente la Lega è diventata una forza pacifista?

Gli impegni assunti da Berlusconi, prima con Obama, e poi con Sarkozy, sulla partecipazione italiana ai bombardamenti Nato contro le forze di Gheddafi, hanno parecchio scontentato negli ultimi tre giorni gli alleati della Lega, che non hanno tardato a far quadrato attorno a Tremonti, figura chiave dell’opposizione intragovernativa ai bombardamenti in Libia. Dice – il ragiunatt del patrio erario – che non ci sono soldi per comprare missili. Ma gli argomenti proposti da Tremonti sono immediatamente nobilitati dalla Lega.

Bastava ascoltare ieri Radio Padania per poter apprezzare un diffuso senso di pacifismo nordico. “Noi siamo quelli che erano contro le bombe a Belgrado” – dicono. La dirigenza non poteva certo non tener conto del pacifismo dei militanti della Lega, quindi anche Bossi, Calderoli e Maroni diventano un coro ben armonizzato di frenate, poi dissensi sulle scelte di Berlusconi, poi rientri moderati, e poi ancora proteste. Insomma, voce grossa in Padania e calata di braghe a Roma. D’altra parte ci sono le elezioni amministrative e, per quanto minimizzino i leader del Carroccio, la tornata elettorale non è di poco conto. Non giova a nessuno fare strappi, però far caciara si. Quindi mentre in Libia si fa la guerra, quella vera, a Roma si gioca a Risiko.

Oggi La Repubblica, in un articolo firmato da Aldo Schiavone, proponeva una lettura degli eventi sin troppo idealista. Sostanzialmente presentava Berlusconi come un pessimo conduttore degli affari internazionali e mostrava una Lega, terragna e pragmatica, che facendo leva sul suo territorio di campanili del Nord-Est e delle valli alpine conchiuse, dimostrava una maturità popolare in senso pacifista, forse perché hanno visto molte guerre. Secondariamente, sempre a detta di Schiavone, la Lega si rifugia nel pacifismo per sottrarsi agli obblighi europei e internazionali. Interpretare il neutralismo padano in questi termini è piuttosto riduttivo. C’è molta più tattica di quel che sembra.

Diciamo le cose come stanno, come già candidamente ammettono molti leghisti della base (non solo quelli più arrabbiati): nessuno è disposto a pagare un cent in più quando faranno il pieno di benzina per pagare le avventure militariste italiane. Inoltre nessuno vuole un solo libico in Italia, perché le bombe – secondo il pensiero leghista base – non sono intelligenti perché fanno scappare i civili e li fanno riversare in Italia. Non mi sembra dunque che sinora l’humanitas leghista sia qualcosa di diverso da un puro atteggiamento di egoismo e xenofobia. Se queste sono le motivazioni della base, poi esistono le motivazioni della Lega in quanto attore di maggioranza, e cioè dell’ “imprenditore politico” che plasma la propria offerta politica a seconda della domanda, oppure aizza la domanda per ottenere altri scopi.

Le prese di posizione dei ministri leghisti non possono che essere lette in questa chiave. Quale chiave? Le amministrative, ovviamente. Un Comune come Milano da conquistare, possibilmente con il maggior numero possibile di presenze leghiste in consiglio comunale, potrebbe indurre qualsiasi dirigente di partito a trasformarsi alla bisogna da liberista in socialista, e viceversa. La stretegia leghista di mostrare un Berlusconi prono agli interessi dell’asse anglo-franco-americano, di presentarlo come un diplomatico inetto e indeciso, come il responsabile di futuri arrivi di immigrati, è qualcosa che in tempi di elezioni torna utile soprattutto in quell’elettorato “condiviso” tra PDL e Lega, cioè quell’elettorato che con una certa facilità saltella tra le preferenze a questi schieramenti. In termini di governo del territorio – cioè di poltrone comunali – strappare delle maggioranze nei comuni al PDL significa molto. Inoltre questo riflettore sul presunto “pacifismo” leghista garantisce alla Lega una campagna elettorale a costo zero. In tempi di magra, cioè di un federalismo incompiuto, agitare gli spettri dell’invasione clandestina serve a non perdere consensi.

Cravatte verdi e bandiere arcobaleno? Macchè! Cravatte verdi e bandiere verdi – semmai – come quelle del regime di Gheddafi.

Giuseppe F. Pagano

 

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