Ogni anno, puntuali, allo scoccare del 25 aprile, arrivano insieme ai discorsi ufficiali pronunciati dalle istituzioni, anche il turbinio di polveri revisioniste e polemiche varie. La Liberazione, in effetti, è la festa di una parte degli italiani, la parte maggioritaria del Paese, ma anche qualitativamente la migliore. Tuttavia basta una minoranza, chiassosa e cialtrona, per trasformare ogni celebrazione sulla Resistenza una gara di obiezioni e prese di distanze.
Le divisioni sulla Liberazione somigliano in qualche modo alle prime celebrazioni del 4 luglio americano, quando tra repubblicani filo-francesi e federalisti filo-inglesi non correva per niente buon sangue, e allora persino la lettura della Dichiarazione d’Indipendenza era un evento portato avanti solo dai “repubblicani”, perchè quel testo incarnava perfettamente i valori della rivoluzione americana, mentre per Hamilton e soci era un documento un po’ troppo eversivo. Ma non è l’unico caso di feste divise, o meglio… di memorie divise.
Preoccupa in ogni caso quel reflusso gastrico di nuovi fascismi che scalpitano con manifesti, comunicati stampa, richieste di conciliazione. Questa gazzarra dura lo spazio di una giornata, non di più. Infatti, già il giorno dopo, queste iniziative di protesta cadono nel vuoto, dopo aver creato solo temporanei fastidi nel sentimento democratico. Eppure il fastidio per una presenza organizzata di forze che si richiamano alle idee del Ventennio dovrebbe avere una portata costante. Non è un caso che gli spazi lasciati aperti dall’ampia tolleranza poi siano il terreno di coltura ideale per azioni che vanno da un disegno di legge per abrogare la norma costituzionale che vieta la riorganizzazione del partito fascista sino ai fatti di violenza di natura politica che occasionalmente trovano posto nella cronaca nera.
Per questo il 25 aprile si offre come momento di riflessione e propulsione per tutta la politica. La costruzione di una Italia moderna e pluralista non può prescindere da una condanna netta verso l’esperienza storica del ventennio e verso ogni fascismo. L’antifascismo costituisce ancora un fondamento irrinunciabile per l’educazione democratica della cittadinanza italiana. Celebrare la Liberazione e la Resistenza significa perpetuare i valori su cui nacque la nostra Repubblica.
L’essenza dispotica del fascismo non è mai stata completamente debellata, e oggi si presenta in forme diverse e in molti angoli di mondo. Fascismo è tutto ciò che scavalca con violenza il confronto democratico, ciò che annienta i diritti delle minoranze, è l’imposizione di un “modello totale” ed unico (politico, di lavoro, di vita, di pensiero, di prassi), è la monopolizzazione dell’economia, dell’informazione e la capacità di smontare il passato e il presente a proprio piacimento.
Le culture del totalitarismo per auto-riabilitarsi s’insinuano anche nella cultura, basti ricordare il successo di Giampaolo Pansa, mediocre giornalista ma ottimo venditore di calunnie. Altre volte sono i politici smemorati, l’on. Luciano Violante su tutti, a promuovere la rivalutazione dei giovani di Salò, invocando una pacificazione. Si tenta così l’operazione disonesta di dare dignità a gente che ha scelto volontariamente di stare dalla parte del regime per utilità personale.
L’unità nazionale non si fonda con i “volemose bene“, o con il plauso ai presunti valori dei giovani di Salò. Chi realmente era mosso da valori di libertà e giustizia sociale, dal ‘43 al ‘45 si impegnò per liberare il suolo italiano da cialtroni e invasori, anche dando la propria vita. Chi era mosso da valori antifascisti ricostruì dalle macerie istituzionali un clima respirabile di confronto politico dando al Paese una costituzione repubblicana.
Era la guerra tra chi stava con la dittatura e chi aveva scelto la democrazia, era la guerra tra chi stava dalla parte sbagliata e chi dalla parte giusta. La storia che leggiamo non è la storia dei vincitori. È la storia e basta. Non c’è altra storia, c’è solo una voglia di rivincita nascosta sotto l’ambiguo concetto di pacificazione.
Non spaventa -dunque- il fatto che la Liberazione, in quanto festa antifascista, sia una festa di parte. Anzi, ci dà la cifra dell’esser partigiani in quest’epoca, ci aiuta a capire che esiste una generazione che coltiva la memoria da opporre ai senza-memoria, a quelli che il fascismo lo tollerano perché non ricordano cosa fosse e quali crimini abbia compiuto. Pertanto l’antifascismo è quella filigrana che ci accompagna nel nostro vivere politico, è la vocazione a costruire un’Italia ancora migliore, a rendere più compiuta l’imperfetta gemma della democrazia. Ogni 25 aprile accade un passaggio di consegne tra chi aveva combattuto le camicie nere sui monti e chi, oggi, li deve combattere tra i banchi delle facoltà, nei luoghi di aggregazione, nelle aule di Montecitorio. Non più con i fucili, ma con il fuoco della ragione e l’ardore dell’idee.
Giuseppe F. Pagano