La libertà dei ricattati

Lavoro: problema numero uno in Italia. Non è solo un sabato di mobilitazione nazionale sulla precarietà a dovercelo ricordare. Dovrebbe essere un assillo quotidiano per il governo, dovrebbe essere un assillo anche per i sindacati, così come lo è per chi, ogni giorno, vive con la paura concreta che il proprio contratto a progetto non sia rinnovato, che il proprio impegno negli studi sia reso nullo da un mercato del lavoro che non cerca competenze ma una non-ben-chiarita flessibilità, che la sacrosanta ricerca della felicità ha il prezzo di un ricatto.

Ci si allarma molto a guardare i dati concreti del fenomeno “precariato” riportati oggi dal Corriere, ovvero quasi 4 milioni di persone inghiottite in questa pozza, dislocate su entrambi gli estremi della penisola.
C’è una questione meridionale con oltre 2,3 milioni di lavoratori senza stabilità e tutele (il 56% del dato nazionale) tra Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. A rendere ancora più drammatica la situazione nel Mezzogiorno c’è l’incidenza di una disoccupazione moltiplicata dalla crisi, ovvero un adulto su cinque è senza alcun impiego.
Negli ultimi tre anni si è innescata anche una questione settentrionale, con una presenza forte del precariato sulle regioni trainanti dell’economia italiana. Regioni insospettabili come il Trentino oppure l’Emilia Romagna hanno accusato più di altre i colpi della crisi, soprattutto nel terziario dedicato alla ristorazione e ai servizi pubblici e sociali, dove più di un terzo della forza lavoro risulta essere senza tutele.
Ma se si guarda fuori dall’Italia, la situazione non è certo più rosea, perchè il circolo vizioso tra competitività e precarietà, dettato da logiche economiche di corto respiro fa vittime in tutto il mercato del lavoro mondiale. Il tasso di disoccupazione complessivo nei paesi OCSE è cresciuto del 50 per cento rispetto al 2008 e i tassi di crescita previsti purtroppo non riusciranno nel breve termine a ridimensionare il dato.

I responsabili di questa situazione emergenziale esistono: se le cause del precariato si possono spalmare su molte variabili di mercato internazionale (che in politichese si chiama competitività), alla fine dei giochi è la legislazione vigente -sia quella italiana che comunitaria- che permette il proliferare di questi contratti. La legislazione sul lavoro dovrebbe tutelare i soggetti che, per forza di cose, sono il contendente debole della contrattazione, e non privilegiare le posizioni già di forza. Tuttavia queste rimangono grida nel deserto perchè qualsiasi governo negli ultimi 20 anni ha dovuto fare i conti con le varie Confindustrie, Confesercenti, Confartigianato, ed è chiaro che sono stati i padroni del vapore ad influenzare in ultima istanza l’operato politico se non addirittura l’instabilità dei governi.

Tuttavia questa disincantata presa di coscienza non è sufficiente, perchè occorre trasformare le manifestazioni nelle piazze in consensi elettorali alle forze politiche che hanno concretamente a cuore la soluzione del problema, bisogna convertire il senso di sconforto in forza di proposta, perchè non è un caso che l’articolo 1 della Costituzione richiami il valore fondante del lavoro. Come a dire, togliendo il lavoro tolgono ai giovani (e non solo a loro) il diritto a una cittadinanza libera. La libertà infatti, senza le condizioni essenziali per il mantenimento di se stessi o di una famiglia, è una parola vuota, è la libertà del ricattato di seguire i desideri del ricattatore. Con queste “libertà condizionate” si può scrivere solo la Costituzione di uno Stato della paura. L’offesa più grande che faremmo a noi stessi sarebbe proprio trasformare in abitudine anche le cose più spaventose.

Giuseppe F. Pagano
per la Redazione News di Radioeco.it

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