Come italiani siamo nati centocinquanta anni fa, ma non lo siamo sempre stati. Prima eravamo toscani, siciliani, veneti, romani. Non parlavamo la stessa lingua, e la gran maggioranza non si sentiva parte di un’entità più grande di quella del proprio regno o ducato. Eppure un nutrito gruppo di intellettuali e professionisti, giovani e meno giovani, spesso legati da un sentire culturale di sapore già europeo, riunì i destini di ogni angolo del Paese sotto un’unica bandiera e poi un’unica lingua. Ma come accade anche nei matrimoni più riusciti, i malumori emergono pure negli anniversari, perchè 150 anni fa come oggi l’Italia è uno stivale diseguale, molto comodo in alto e scomodo sulle punte più basse, un Paese frustrato da crisi accidentali ma anche da malattie più croniche come la criminalità organizzata, il clientelismo, la corruzione e tutti i colori degli abusi di potere.
Il mestiere della retorica ci imporrebbe di ricordare i momenti più belli di questa convivenza e magari mettere da parte le incomprensioni. Imporrebbe persino di riscoprire il vecchio armamentario simbolico del Risorgimento, fatto di bandiere, inni nazionali e racconti mitizzanti dei “padri della patria”. Questo è accaduto infatti in quest’ultima settimana, dove gli italiani sembrano essersi ritrovati a proprio agio nel rispolverare l’uso di simboli che il più delle volte tiriamo fuori solo durante i mondiali di calcio. Gli italiani hanno anche riscoperto la vita di Mameli, il suo inno e il significato di quei versi grazie all’opera divulgatrice di Benigni.
Forse, però, questo compleanno ci impone, oltre ai festeggiamenti, anche un bilancio e una riflessione. Ovvero: cosa ci rende oggi italiani? In che simboli dovremmo ritrovarci? Non è più riproponibile quella “narrativa”, prima risorgimentale e dopo fascista, che ci voleva uniti perchè accomunati da tratti biologici e antenati comuni e una cultura delle virtù belliche. Oggi siamo italiani sia perchè parliamo una lingua comune, ma anche perché abbiamo un patto che ci lega l’uno all’altro, il patto della Costituzione. Per quanto la carta costituzionale sia poco conosciuta e talvolta attaccata, essa garantisce la libertà di tutti quelli che posano i piedi sul nostro suolo, siano essi nati qui o all’estero. Per questo motivo l’unità che ci piace ricordare oggi è l’unità dei diritti e l’adesione a un sistema comune di valori democratici nel rispetto delle diversità di ognuno. Ma la distanza tra quel patto ideale che abbiamo scritto sulla carta nel 1948 e il Paese reale è ancora tanta, per questo ci auguriamo di rimanere ancora uniti, per realizzare la libertà e l’uguaglianza di tutti… nessuno escluso.
Giuseppe F. Pagano per la Redazione News di Radioeco.it